ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI GELA

 

 

     L’archivio comunale, importante componente della struttura amministrativa locale, è costituito da una raccolta d’atti e registri prodotta negli anni dall’amministrazione comunale relativa all’attività svolta per il raggiungimento dei propri fini istituzionali e successivamente conservata per scopi amministrativi o giuridici o come fonte documentaria per gli studi storici.

    Gli atti amministrativi soggetti a frequente consultazione e quindi relativi a pratiche che ancora richiedono provvedimenti, sono conservati nell’Archivio corrente, mentre quelli che riguardano affari già conclusi e quindi di consultazione più rara, sono conservati nell’Archivio di deposito; invece spetta all’Archivio generale raccogliere e custodire tutti i documenti relativi ad affari esauriti da oltre quaranta anni. In definitiva l’archivio corrente e l’archivio di deposito sono archivi amministrativi, mentre l’archivio generale rappresenta l’Archivio storico del Comune, ovvero una testimonianza preziosa della vita di una comunità, dove gli atti trovano una definitiva sistemazione e rimangono a perpetuare nel tempo memorie della passata attività dell’amministrazione comunale.

    L’archiviazione degli atti al Comune di Gela fino alla fine degli anni Quaranta bene o male rispondeva alle norme che regolavano la tenuta e il funzionamento degli archivi; a quanto sembra, però, nella seconda metà degli anni quaranta durante il temporaneo trasferimento di tutti gli uffici del Comune al Convitto Pignatelli, dovuto alla costruzione del nuovo Palazzo di Città, non tutti gli atti dell’archivio vi furono trasportati; infatti, buona parte di essi, fu portata nei locali dell’ex lazzaretto (già Convento dei PP. Agostiniani, oggi sede della Biblioteca Comunale), dove fu accatasta in una stanza e lì rimase, forse dimenticata, anche dopo il rientro degli uffici comunali nel nuovo edificio. Siamo agli inizi degli anni Cinquanta.

    Ma anche quella parte d’atti dell’archivio che rientrò nel nuovo municipio non fu tutta depositata nell’archivio corrente (che oggi è ubicato in uno stanzone a pianterreno sotto la torre); infatti, le carpette contenenti gli atti più vecchi furono accatastate a mala pena in una stanza al secondo piano con unico accesso dalla scala secondaria di Viale Mediterraneo; la stanza angusta e con una sola finestra, prospiciente sul cortile della Pretura, era utilizzata, però, anche come deposito di diverso materiale, persino oggetti di sequestri effettuati dai Vigili urbani. In detto locale chi scrive, provvisto di guanti, mascherina e liquido disinfettante, già a partire dal 1980, con debita autorizzazione del Sindaco, cominciò ad effettuarvi le prime sporadiche visite che risultavano spesso molto difficoltose se si pensa che in quella stanza si riusciva appena ad entrare e per spostarsi bisognava camminare letteralmente sopra pile di carpette, materiale cartaceo e cianfrusaglie di vario genere su cui la polvere e fastidiosissimi insetti facevano da padroni. In mezzo a tanto materiale allora si trovavano pure tre busti in gesso a firma di uno scultore terranovese dello scorso secolo, tale Calcedonio Giurato; detti busti (raffiguranti Giuseppe Verdi, Vittorio Emanuele II e un non identificato garibaldino terranovese) furono rubati durante la trasformazione del locale in deposito dell’ufficio d’Economato. Intanto, continuando periodicamente ad accedere a tale stanza, verso la fine del 1982 con mia grande sorpresa, vidi comparire al di sotto di una pila di faldoni zeppi di documenti due casse in legno sui cui coperchi vi era raffigurata una mitragliatrice; in una erano contenute delle coperte, nell’altra, contrariamente a qualsiasi previsione, erano custoditi numerosi reperti archeologici. Del ritrovamento interessai il vicesindaco di allora, il compianto Avv. Ottavio Liardi, il quale fece intervenire il personale della Soprintendenza che trasferì i reperti nei magazzini del locale Museo. Il materiale archeologico, di proprietà del Comune (tant’è che il Sindaco tuttora ne potrebbe richiedere al Museo la restituzione per realizzare delle vetrine all’interno del Comune), faceva parte di corredi funerari delle necropoli del Borgo venuti alla luce nei primi del Novecento durante gli scavi archeologici effettuati da Paolo Orsi.

    Intanto verso la fine del 1983 essendo stati appaltati i lavori per la ristrutturazione dell’ex lazzaretto si dovettero sgomberarne i locali; così gli atti, contenuti in sacchi di frumento, depositati trent’anni prima in una stanza di detto ex lazzaretto, come sopra riferito, furono prelevati e, coperti da un precario telone di plastica, accatastati sullo spiazzale dietro la chiesetta di S. Biagio, all’ingresso del contiguo cimitero. Ma la precarietà della copertura fece si che durante un acquazzone detto materiale cartaceo si fosse completamente inzuppato d’acqua con il risultato che buona parte di esso andò completamente in rovina dopo essersi trasformato in un’irreversibile "pappina". Qualche giorno dopo, su mia denunzia all’autorità comunale, quel che rimase di salvabile dell’archivio fu trasferito, purtroppo ancora umidiccio, nei locali ex Iannizzotto, ubicati sulla statale 115 per Vittoria, di proprietà del Comune. Anche qui tale materiale non ebbe sorte migliore della precedente; infatti, fu accatastato in malo modo e chiuso in uno stanzone adibito tempo prima a cella frigorifera e quindi senza nessuna areazione. Purtroppo nonostante le numerose sollecitazioni ancora oggi quegli atti dell’Archivio storico del Comune, in buona parte completamente ammuffiti, si trovano nel più completo abbandono anche se solo un’insignificante parte di essi, circa una ventina di carpette, è stata bonificata dallo scrivente e fatta trasferire nell’attuale sede dell’archivio storico nella Biblioteca comunale. 

    Nel seconda metà del 1985 la stanza a secondo piano del Municipio, che conteneva parte dell’archivio cosiddetto storico, come detto prima, fu svuotata per essere poi adibita ad altra funzione; tutti gli atti così, senza nessun riguardo, furono prelevati e dopo essere stati introdotti in capienti sacchi di spazzatura assieme a scarafaggi, tracce d’escrementi e porcherie varie, furono depositati in una stanza a piano terra a lato della torre con ingresso dal Viale Mediterraneo, in attesa di essere destinati al macero (sic). Avuta anche allora l’autorizzazione ad accedere in quel locale, mi premurai a svuotare i suddetti sacchi zeppi di carpette per farne arieggiare gli atti e a bonificarli sottraendoli così da quel miasma venefico in cui si trovavano. Intanto, su mia successiva richiesta proposi a diversi componenti la Giunta, allora si era insediata per la prima volta una di sinistra capeggiata dal Sindaco Tignino, di bloccare la macerazione di tutti quegli atti e nello stesso tempo di creare con essi una sezione d’archivio storico.

    Nel marzo del 1986 su disposizione dell’assessore alla P.I. Tommaso Cammilleri ebbi l’incarico di far reperire tutto il materiale d’archivio di suddetta stanza e trasferirlo nei riattati locali a pianterreno dell’ex lazzaretto del convento agostiniano che da lì a qualche anno sarebbe diventato sede della biblioteca comunale. Dopo una radicale bonifica, tra l’altro le vecchie carpette furono completamente sostituite, il materiale cartaceo subì una prima temporanea catalogazione con l’aiuto anche del personale assegnato alla biblioteca, in particolare i funzionari Salvina Blanco, Maria Di Bartolo e Vincenzo Tranchina caposezione, e di quello ausiliario con i Sigg. Michele Gammino, il compianto Benito Faraci e Augusto Tignino,

    Nel 1988, durante la sindacatura Liardi, su proposta dell’assessore alla P.I. Dott. Giovanni Scaglione, fu affidato al sottoscritto il compito di riordinare, catalogare ed inventariare gli atti dell’archivio con deliberazione di Giunta n.2205 del 6 dicembre dello stesso anno. Il compenso per il lavoro affidatomi fu di cinque milioni di lire alla consegna, al netto della ritenuta d’acconto.

    Il lavoro dell’archivio storico, effettuato su direttiva e controllo del Direttore dell’Archivio di Stato di Caltanissetta dott. Claudio Torrisi nonché col beneplacito della Soprintendenza ai Beni archivistici di Palermo, è stato consegnato dallo scrivente al Comune il 22 settembre 1994. Alla relazione di tale consegna sono stati allegati due indici relativi a 628 carpette; uno realizzato sulla base del numero di corda ad uso del personale, l’altro costituito sulla base degli estremi cronologici, che vanno dall’Unità d’Italia (ma anche prima) fino agli anni Cinquanta, ad uso dell’utente; sono state consegnate anche 628 schede di consultazione, corrispondenti al numero delle carpette, contenenti riferimenti analitici sul contenuto delle stesse. Inoltre, durante lo stesso riordino, su autorizzazione del suddetto Direttore dell’Archivio di Stato si è enucleato dai fascicoli un copioso numero di giornali e di manifesti d’epoca per produrre in seguito rispettivamente una speciale emeroteca ed una mostra permanente, quest’ultima già realizzata e fruibile, all’interno della stessa biblioteca.

    Le 628 carpette, infine, comprendono pure diversi registri decurionali dal 1820 al 1873, contenuti in tre carpette, e 13 fascicoli d’Atti Giurati dal 1582 al 1595, conservati in due carpette; queste cinque carpette sono state contrassegnate con le lettere dell’alfabeto.    

    Recentemente l’archivio storico è stato arricchito d’altre 130 carpette, quasi tutte del periodo fascista, prelevate dallo scrivente dall’archivio corrente del Municipio dove ancora ne esistono qualche centinaio. Per il loro riordino se ne parlerà prossimamente.

    Anche se l’archivio storico del Comune di Gela ha subito negli anni un consistente depauperamento, sia per alcuni fatali incendi (uno fu quello del 6 dicembre 1864), sia per l’incuria degli amministratori, non si nasconde la viva soddisfazione del sottoscritto nell’aver promosso e contribuito in modo determinante a salvare un pezzo di storia recente della vita della nostra città che diversamente sarebbe andata sicuramente perduta.

Gela 10 luglio 2004

Nuccio Mulè

 

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