QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Gennaio 2024


ARGOMENTI

    A partire dal mese di gennaio del 2023 si è iniziato a scrivere sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive la dodicesima  puntata dal titolo "Incursioni dei pirati in Sicilia".

12 - Incursioni dei pirati in Sicilia

Cartolina multipla di oggi

Lavori fermi da più di due decenni nella Chiesa di San Benedetto

 

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12 - Incursioni dei pirati in Sicilia

 

 

    Per diversi secoli la Sicilia fu molestata dai pirati saraceni, che, partendo dalla “Barberia”, con base nelle città costiere di Algeri, Tunisi e Tripoli, arrivavano lungo le sue coste non solo per saccheggiarne villaggi e campagne, ma anche per farne prigionieri per il mercato di schiavi, seminando morte e distruzione. Pertanto, in Sicilia ma anche nei paesi costieri del sud della Penisola, si rese necessario pensare a un sistema di difesa, che garantisse i territori e l’incolumità della gente. In merito a questa impellente esigenza di tutela, tra il XV e XVI secolo, furono edificate delle torri costiere di difesa e di avvistamento che, poste in corrispondenza visiva l’una con l’altra, una volta avvistate le navi dei pirati, davano agli isolani ampia e rapida diffusione della notizia dell’imminente pericolo che giungeva dal mare. In ogni torre si faceva la guardia soprattutto da aprile a ottobre, poiché era il periodo delle scorrerie dei pirati che approfittavano della bella stagione e della gente che, occupata nelle attività agricole, si stabiliva nelle campagne. Nelle torri, in genere, prestavano servizio d’armi i “torrari” con caporali, artiglieri e soldati, che si avvicendavano nella guardia giorno e notte.

    Occhipinti ci propone una serie di riquadri che si riferiscono tutti al soggetto dei pirati saraceni nei mari di Sicilia. In particolare, in alto quasi al centro, è raffigurata la Torre di Manfria sulla cui sommità compaiono i “torrari” che si avvicendano a segnalare con fumo e fuoco l’imminente pericolo della scorreria corsara proveniente dal mare ad altre torri del circondario.

    Sulla parte sinistra del tondo sono raffigurati due personaggi intenti a discutere, mentre esaminano dei progetti per approntare la migliore difesa delle città e per costruire delle torri per la protezione delle coste; l’autore si riferisce a due importanti architetti, esperti in ingegneria militare, lo spagnolo Tiburzio Spannocchi e il fiorentino Camillo Camilliani, chiamati nella seconda metà del 1500 dalla Deputazione del Regno di Sicilia.

 

12 - Pirate raids in Sicily

 

    For several centuries Sicily was harassed by Saracen pirates leaving from Algeri, Tunis and Tripoli so, between the fifteenth and sixteenth centuries, watch towers were built along the coasts and placed in correspondence with each other. The pirate raids occurred especially from April to October because of the season, when people involved in agriculture spent their time in the countryside. Occhipinti offers us a series of panels all related to the subject of the Saracen pirates in the seas of Sicily. He highlights the Tower of Manfria on top of which "torrari" (sentinels) take turns to report through smoke and fire the imminent threat of a pirate raid.

    On the left side of the painting Occhpinti depicts two characters studying projects in order to plan the best defense of the city and the location of the watchtowers. They represent the Spanish Tiburcio Spannocchi and the Florentine Camillo Camilliani, two important architects, experts in military engineering, in charge for the Reign of Sicily Deputation since the second half of the sixteenth century.

 

Cartolina multipla di oggi

 

    La cartolina proposta oggi, risalente agli anni ’50, è definita come multipla in quanto contiene raffigurate delle piccole cartoline didascalizzate, che ritraggono diverse zone di Gela; queste cartoline in genere sono accompagnate dalla scritta “Saluti da Gela”. Sul margine sinistro della cartolina compare anche in piccolo il numero 26, forse riferito alla serie della stessa.

    Nella cartolina presentata, con al centro “Saluti da Gela”, sono racchiuse quattro vedutine che ritraggono il Municipio (Palazzo di Città) e parte della croce a mare, la spiaggia con il “Lido Gela” (Spiaggia e Lido), il Castello di Falconara (Castello Falconara Sicula) e la chiesa Madre e piazza Umberto I (Piazza Duomo) con al centro la “fimmina nura”, una statua bronzea di un nudo femminile posta nel 1953, opera del bagherese Silvestre Cuffaro, regalata dalla Regione Siciliana all’On. Salvatore Aldisio e da questi alla città.

    Sul retro della cartolina, con un francobollo di £. 10 raffigurante l’avvenimento del VII anno dei giochi olimpici invernali, si legge “Ed. S. Trainito - Gela” e “ripr. vietata” e “Foto Stampa Angeli - Terni”. La cartolina è indirizzata al “Signor Allegrini Filadelfio, Ospedale Civile, Matelica (Macerata)”, da parte di un certo Pippo che da Gela in data 1° febbraio 1956 gli scrive: ”Saluti a tutti, bacetti a Carletto”.

 

Lavori fermi da più di due decenni nella Chiesa di San Benedetto

 

 

    Nel gennaio di 23 anni fa, con la consegna dei lavori di restauro alla ditta appaltatrice aggiudicataria, furono iniziati i lavori di riattamento della chiesa ad unica navata di San Benedetto in via Senatore Damaggio (già via Monastero), chiusa già al culto da quasi settant’anni, confinante col convento delle Suore Benedettine di Clausura. I lavori, sotto la direzione della Soprintendenza di Caltanissetta, però, fino ad oggi non sono stati né ripresi, né tantomeno conclusi, sicuramente per mancanza di fondi e probabilmente anche per …indolenza nel richiedere i relativi finanziamenti. In seguito a ciò i conci della torretta campanaria sono rimasti smontati mentre la sovrastante cupoletta di stile arabo, sempre durante tali lavori, fu impunemente eliminata (sic), non è dato sapere per quale recondito e ingiustificato motivo e peggio ancora senza che allora la stessa Soprintendenza nissena intervenisse. Durante quei lavori sono pure sparite le pregevoli grate secentesche in ferro battuto della finestra sopra l’ingresso della chiesa e della torretta campanaria e pur sapendo che non si otterrà mai una risposta, si chiede lo stesso alla Soprintendenza di Caltanissetta dove siano andate a finire.

    Vediamo adesso di fare un riassunto della storia di questo edificio di culto che assieme al confinante convento era denominato in vernacolo “’a batia”. La chiesa, assieme all'attiguo convento delle suore di clausura, già sede dalla seconda metà degli anni Dieci fino al 1969 dell'Ospedale civico, fu edificata nel XVII secolo probabilmente su un precedente impianto di un edificio gentilizio del XV secolo, molto probabilmente di proprietà della famiglia principesca Tagliavia Aragona le cui insegne sono riportate su uno scudo sannitico lapideo inquartato, affisso all’esterno in alto all’angolo della torre a est dello stesso edificio.

    La chiesa nel 1840 fu sottoposta ad una ristrutturazione che ne fece alzare tra l'altro il soffitto, la chiusura dell’ingresso originario e il tamponamento di alcune finestre, mentre tra il 1843 e il 1845 fu abbellita di pregiate opere d’arte tuttora riscontrabili anche se in parte rovinate o trasferite in chiesa Madre; sul cartiglio dell'archivolto dell'altare maggiore, infatti, a testimonianza di tale intervento ottocentesco si legge "Benedictus qui venit in nomine domini 1843" (Benedetto colui che viene nel nome del Signore 1843). Nel primo decennio del Novecento il convento delle suore, in previsione dell’accoglimento del civico ospedale subì delle ristrutturazioni, in particolare nella zona prospiciente vico Monastero, già piazza Batia.

    La chiesa, rimasta nel più completo abbandono e senza nessuna tutela per decenni, ha subito nel tempo una continua e forsennata azione vandalica ad opera di ignoti (si parla addirittura che al suo interno si svolgevano delle “messe nere”) i quali, tra l'altro, ne incendiarono il settecentesco organo a canne e la pregevole cantoria lignea da cui si aggettava un'elegante aquila sveva recante sul petto uno stemma abbaziale, quest’ultima forse recuperata e depositata nel caveau della chiesa Madre. L'usura del tempo e le infiltrazioni d'acqua piovana poi danneggiarono e lesionarono il soffitto tanto da comprometterne gli affreschi della volta che raffigurano scene di vita di San Benedetto.

    Verso la fine degli anni Ottanta la chiesa, su progetto dell’Ing. Salvatore Marino (redatto nel giugno del 1981), fu interessata ai dei lavori di consolidamento, di ristrutturazione e restauro eseguiti dalla Ditta del Cav. Angelo Russello; nello stesso consolidamento furono realizzati tra l’altro dei contrafforti sulla facciata sud. Tra il 1996 e il 1997, grazie ad altri lavori di restauro della Soprintendenza di Caltanissetta, il degrado dell'edificio fu temporaneamente arrestato; durante questi ultimi lavori, inoltre, al di sotto dell'altare maggiore fu messa in luce una cripta con i resti ossei di due benedettine mentre sulla balaustrata metallica dello stesso altare fu evidenziato uno strato di doratura.

    Nella chiesa, prima della sua chiusura al culto avvenuta nel dopoguerra, si potevano ammirare una pregiata cantoria lignea, un'acquasantiera di valore, un organo della seconda metà del XVIII secolo, andato come detto sopra pure in malora durante un doloso incendio; ed ancora pregevoli pale d'altare settecentesche, dei quadri della Via Crucis e due statue lignee della prima metà dell'Ottocento tra cui quella di Sant'Anna di fabbrica tirolese, opera di J. B. Ubichi Grodeh, e l’altra della Madonna del Carmine di fabbrica napoletana del 1841, opera di Gaetano Negri; quanto elencato, per quel che ci è dato sapere, oggi si trova in chiesa Madre (speriamo!). Richieste dello scrivente di visitare tale edificio ecclesiastico per avere contezza dello stato di abbandono in cui si trova, inoltrate in chiesa Madre, sono state stranamente rigettate; stesso rifiuto è stato pure esteso alla richiesta di consultare i registri dei battesimi, dei matrimoni e dei morti, presenti (come non tutti sanno) nella canonica della chiesa a partire dal 1563.

    All’interno della chiesa di San Benedetto, inoltre, era depositata l'Urna del Cristo, oggi ubicata in chiesa Madre, la stessa che nel tardo pomeriggio del Venerdì di Pasqua porta in processione la statua del Cristo dopo essere stata scesa dal Golgota.

    In definitiva, a quanto sembra, il finanziamento per il restauro della chiesa di San Benedetto di circa 400 milioni delle vecchie lire, fatto assegnare allora dall’ex assessore regionale gelese Salvatore Morinello, non è bastato per riportarla agli antichi splendori; oggi i costi per il recupero dei beni artistici e monumentali sono talmente esosi che non sempre l'intervento pubblico li può sostenere. Sarebbe ora che qualche imprenditore affermato o qualche banca presente a Gela intervenisse in tal senso: lo scriviamo e lo proponiamo da …almeno quarant’anni.

 

 

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