QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Febbraio 2023


ARGOMENTI

    A partire dal mese di gennaio si è iniziato a scrivere sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive la seconda puntata dal titolo "Edificazione di Gela"

2. EDIFICAZIONE DI GELA

LARGO MADRICE

IL GRAN CROCE ANTONINO NOCERA


2. EDIFICAZIONE DI GELA


    In questo tondo il maestro Occhipinti immagina l’edificazione di Gela del 688 a.C. con gli elementi caratteristici che possono contraddistinguere l’edificazione in antico di una città. Pertanto, presenta in primo piano le figure degli ecisti Antìfemo e Entìmo che interloquiscono con dei progettisti probabilmente sul futuro assetto urbanistico della città. Seguono una serie di figurazioni di templi in cui predomina l’architettura dorica che s’identifica con l’echino circolare e l’abaco quadrato delle colonne, con il timpano triangolare e con le decorazioni a metope e triglifi della trabeazione. Le figurazioni sono completate con quelle di uno scultore, di un vasaio, di un’anfora, di una trireme e di un cimiero accanto al quale si osservano uno scudo e una lancia, quasi a presagire la futura potenza militare di Gela.

    Nella scena, inoltre, è raffigurato un capitello di colonna in stile ionico, una scelta questa legata a due motivi; il primo è quello che capitelli di tale stile sono stati ritrovati negli scavi archeologici di Gela, il secondo motivo è legato alla presenza di colonne di ordine ionico nella parte superiore della facciata neoclassica della Chiesa Madre; se il terranovese Arch. Giuseppe Di Bartolo, autore del prospetto nel 1844, li ha inserite, una motivazione deve averla avuta, pertanto, si può supporre che la civiltà ionica, in genere aperta verso l'esterno e portata agli scambi culturali, si sia integrata in quella dorica geloa; come e quando ciò sia avvenuto, ammesso che sia stato così, spetta agli studiosi definirlo.

 

2 - Edification of Gela

 

    In this painting, the artist imagines the construction of Gela in 688 B.C. In the foreground, Antìfemo and Entìmo discussing with the city planners, most likely about the future urban plan of the city. Then, a series of temples in which the Doric style is identified with the circular echinus, the square column abacus, a triangular pediment, the metope and the triglyphs decorations of the entablature. The artist adds the elements of a sculptor, a potter, an amphora, a trireme and a crest, with a shield and a spear nearby, which seem to be a prediction of the future military power of Gela.

    The scene also shows the capital of an Ionic column, which the artist has inserted into the scene for two reasons. First, Ionic capitals have been found during archaeological excavations in Gela. Then, there are Ionic columns at the top of the neoclassical facade of the Cathedral Church, added by the Architect Giuseppe Di Bartolo in 1844 most likely with the intent of witnessing an integration between the Ionic and the Doric Geloan civilizations.

 

 

LARGO MADRICE

 


    La cartolina, risalente alla fine degli anni Quaranta, ritrae Largo Madrice a sud della chiesa Madre, una superficie definita a torto come appendice di Piazza Umberto I e quindi erroneamente indicata con tale stessa denominazione; in primo piano si osserva una palma impiantata alla fine degli anni Trenta da Emanuele Pane, proprietario dell’attiguo “Caffè Italia”, famoso allora per la vendita di granita di limone e schiumoni.

    A sud della chiesa Madre, oltre a diverse persone tutte con cappello, si osservano la gradinata a tre lati dell’ingresso laterale con due lampioni agli angoli e i contrafforti bassi perimetrali addossati al muro della chiesa; ed ancora il chiosco in legno di tale Paino in stile liberty (successivamente sostituito con una struttura in muratura da Rosario Picone) e il palazzo dell’Albergo Trinacria (costruito da Giacomo Romano nel 1870) demolito impunemente nella prima metà degli anni Sessanta per dar posto all’attuale palazzo. Sul largo Madrice, la cui superficie sul margine prospiciente il Corso era pavimentato con basole di pietra bianca del Ragusano e più internamente con dei mattoni quadrettati grigio chiaro, furono impiantate diverse palme con grate di protezione che furono sostituite, forse negli anni Quaranta, da alberelli e successivamente, qualche decennio dopo, da fronzuti ficus benjamina poi eliminati durante le amministrazioni Fasulo e Messinese.

    A sinistra della cartolina, che riporta erroneamente sul davanti la didascalia di Piazza Vittorio Emanuele III, lungo il Corso si nota la torretta campanaria della chiesetta di San Rocco e a destra, dietro il palazzo dell’Albergo Trinacria, la cuspide della torre campanaria della chiesa del Rosario; sul retro oltre a “Ed. G. B. Randazzo - Gela - Stab. Dalle Nogare e Armetti - Milano. si legge “Sig. Ing. Vittorio Saudicchi, Via Po 24, Roma - Gela 11 Aprile 952 Buona Pasqua … Pinci Albergo Mediterraneo Gela”.

IL GRAN CROCE ANTONINO NOCERA

Maestro di se stesso

    Il 24 maggio del 1930 veniva a mancare, all'età di 80 anni, il Cav. di Gran Croce della Corona d'Italia (con decorazione di Gran Cordone), Gr. Uff. Comm. Antonino Nocera, uno dei nostri concittadini più importanti degli ultimi cento anni. Chi era questo personaggio che viene ricordato da alcuni come un ricchissimo possidente e uomo potente e da altri come un grande benefattore? Chi era in verità Antonino Nocera? Un agrario che, sfruttando i poveri contadini, aveva costruito sulla loro pelle un'immensa fortuna oppure un facoltoso terranovese ispirato a principi di cristiana carità? Forse ripercorrere un po', anche se superficialmente per carenza di fonti biografiche, la sua vita ci può facilitare il tentativo di capire chi era realmente quest'uomo che per un cinquantennio, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, rappresentò un punto di riferimento per la vita economica e sociale di Terranova.

    Antonino Nocera nacque a Terranova il 20 agosto del 1850 da una famiglia benestante. Il padre Giovanni, “galantuomo de lo stampo antico”, oltre ad essere commerciante, gestiva un’azienda agricola; addirittura per il grande impulso dato alla coltivazione del cotone nella nostra Piana, ricevette dal Ministero dell'Agricoltura dell'epoca una medaglia di bronzo. Indirizzato agli studi, com'era d'usanza fra le famiglie agiate, Antonino Nocera consegui la licenza nella locale Scuola Tecnica e, per continuare con gli studi universitari, si trasferì poi a Napoli, dove, però, rimase solo due anni a causa della salute cagionevole del padre.

    Cosi ritornò a Terranova e benché ancor giovane e senza nessuna esperienza dovette mandare avanti l'azienda del padre. Furono tempi duri per il nostro concittadino, ma grazie al suo impegno, alla sua passione e, soprattutto, alla sua viva intelligenza, riuscì tra mille difficoltà a rimettere in sesto l'azienda agricola, e, in pochi anni, addirittura ad ampliarla. Egli fu veramente un grande “maestro di se stesso”, un autodidatta e ciò grazie all'esperienza, alla sofferenza ed alla dedizione al dovere. Nel 1876 entrò a far parte dell'élite della società terranovese grazie al matrimonio contratto con la nobil donna Clorinda Aliotta Mallia, baronessa e pronipote di Don Alessandro Mallia, barone di Sabuci.

    Due anni dopo, nel 1888, animato da “un sentimento alto di Patria”, il Nocera partecipò alla vita pubblica. Eletto consigliere comunale per “volontà di popolo” vi rimase senza interruzione fino al 1904. Come Sindaco di Terranova ricoprì tale carica per diversi anni, prima nel 1883 e poi dal 1896 al 1898; e ancora dal 1899 al 1903. Ricoprì anche l'incarico di consigliere provinciale dal 1882 al 1914 e fu componente della Deputazione Provinciale, poi presidente della stessa e del Consiglio Provinciale. Fece parte di vari organismi, ma la carica più importante fu quella di rappresentante della Provincia nel Consiglio Generale di Amministrazione del Banco di Sicilia.

    …Sempre e dovunque ebbe campo di dimostrare la sensibilità squisita dell'animo generoso, mai sordo ai bisogni dei sofferenti...”, e quando nelle nostre campagne imperversavano rigide condizioni climatiche e la pioggia allagava tutto, per cui era impossibile a molti contadini e braccianti la ripresa del lavoro, il Nocera era solito aprire i suoi magazzini per distribuire alle famiglie disagiate generi di prima necessità. In particolare istituì i cosiddetti “quararuna”, grandi pentole in cui venivano cotti 100 kg. di pasta (in genere “italeddru”) con legumi, in alcuni quartieri della città per la distribuzione quotidiana e gratuita di pasti. I “quararuna” erano in funzione dalle 11,00 alle 16,00 ed erano ubicati nelle piazze Sant’ Agostino, Santa Maria di Gesù e San Francesco. Durante la prima guerra mondiale anche lui “...si trova al suo posto di combattimento. Le porte della casa sua sono aperte in ogni ora del giorno; egli è segretario de le famiglie, egli consiglia, egli incoraggia, egli lenisce mille dolori, egli diviene il conforto de le madri e de le spose, il padre dei soldati...”.

    Nel 1925 contribuì, con la somma di 100 mila lire, alla sottoscrizione nazionale per l'estinzione del debito italiano verso gli Stati Uniti d'America. L'anno dopo elargì, oltre 150 mila lire all'ospedale di Terranova per l'istituzione di un tubercolosario e, ancora, 50 mila lire alla locale Congregazione di Carità per dotare di locali più ampi il nostro Orfanotrofio Regina Margherita affinchè potesse accogliere un numero maggiore di orfanelle; nell’androne di questo edificio, oggi non più orfanotrofio, infatti, si trova una lapide in ricordo del Nocera, lapide apposta nel 1936, sei anni dopo la sua scomparsa. Tali enormi elargizioni ebbero vasta eco su tutta la stampa nazionale di allora; il “Popolo di Roma”, ad esempio, scrisse: “...La magnificenza del gesto esemplare è superiore a qualsiasi elogio, e mentre la riconoscenza e l’affetto di tutta la cittadinanza esaltano entusiasticamente le virtù del grande benefattore, noi, vivamente commossi, sentiamo il dovere di additarlo all'ammirazione degli italiani.”, mentre sulle colonne del “Giornale di Sicilia” si lesse: “...Il Gr. Uff. Antonino Nocera che fu, crediamo, il solo che, come persona, per il dollaro sottoscrisse centomila lire”. Ma il maggior riconoscimento Antonino Nocera lo ricevette il 20 marzo del 1926 dal Governo Italiano su deliberazione del Consiglio dei Ministri, fu il titolo di Cavaliere di Gran Croce della Corona d’Italia decorato del Gran Cordone, il grado più eminente degli ordini cavallereschi, istituito da re Vittorio Emanuele II nel 1868, con la seguente motivazione: “...in riconoscimento delle sue alte benemerenze civili e dell'opera illuminata svolta per lunghi anni per l'interesse dell’amministrazione pubblica”. Anche la notizia di quel titolo cavalleresco fu riportata da tutta la stampa nazionale, compreso l'autorevole quotidiano milanese “Il Corriere della Sera”; il giornale “L 'eco d'Italia” scrisse: ...L'altissima onorificenza è venuta a riconoscere e premiare ancora una volta le tantissime benemerenze di una delle più note e cospicue personalità del grande mondo siciliano”.

    Sul muro di quella che era una volta l’abitazione del Gran Croce, oggi Palazzo Russello (già Palazzo Tedeschi) sul Corso, quasi all’incrocio con via Marconi, a destra dell’ingresso principale si trova apposta una mattonella di ceramica con la scritta “Pax et Bonum” con le date della ricorrenza del centenario della morte di San Francesco d’Assisi, ma forse anche in ricordo dell’anno 1926 in cui il Nocera ricevette il suddetto titolo di Gran Croce.

    Fin qui le poche notizie biografiche che siamo riusciti a reperire. Ad una prima riflessione siamo tentati di credere che il Nocera sia stato veramente un grand'uomo, un benefattore, un patriota e alcune frasi usate in un opuscoletto del 1926, dal titolo Charitas” a lui dedicato da diversi suoi amici, come “maestro di se stesso”, “persona d'ingegno agile ed eletto”, “cuore plasmato a virtù” e così via, lasciano poca scelta a variarne il giudizio; ma, alcune testimonianze che abbiamo raccolto tempo fa e che riferiremo, ci inducono a convincerci diversamente. Una testimonianza, fornitaci da un novantenne, ex agricoltore e uomo di fiducia del Nocera, si riferisce ad un grosso registro che il Gran Croce teneva per registrare i nomi dei suoi debitori, che erano centinaia e nel momento in cui non riuscivano a restituire il danaro, il Nocera gli faceva sequestrare la proprietà che poi incamerava a reintegra dello stesso prestito. A nostro modo di vedere, Antonino Nocera fu uno sfruttatore, come altri agrari, della nostra povera gente, un continuatore del secolare latifondismo siciliano, però, a differenza degli altri agrari terranovesi, si distinse per intelligenza e furbizia. Da una parte “succhiava il sangue” ai lavoratori della terra, dall’altra porgeva un piatto di minestra e qualche soldo nel momento in cui gli stessi pativano la fame. E questo subdolo e sottile “gioco” durò per tanti anni, non a caso nella nostra città, per lo stato di sfruttamento a cui era sottoposta la popolazione, nacque un grosso movimento di lavoratori che si riconobbe nel Fascio dei Lavoratori di Terranova, capeggiato da Mario Aldisio Sammito, nostro grande concittadino, purtroppo anche lui da tempo totalmente relegato nell’oblio.

    Tuttavia non è facile, a primo acchito, trovare una spiegazione logica che possa farci capire perché e come il Nocera abbia elargito le suddette 250 mila lire di allora. In genere l'esperienza quotidiana c'insegna che quanto più si accumulano quattrini, tanto più si diventa tirchi anche se non sempre. E allora possiamo tranquillamente ipotizzare che il Gran Croce Nocera, arrivato a tarda età, e forse sentendosi prossimo a concludere la sua vita, si sia convinto della futilità di quell'enorme ricchezza accumulata in tanti anni, futilità evidenziata maggiormente dalla morte immatura della figlia Rosalia, a motivo di una malattia inguaribile, che aveva soltanto 43 anni. Del resto il modo migliore di far fruttare i quattrini, o, come si usa dire, di farli “rendere” anche dopo la sua morte, poteva essere, per esempio, quello di elargirli in beneficenza, il che, certamente, avrebbe tramandato ai posteri il suo nome e la fama. E se veramente egli si prefisse il raggiungimento di tale traguardo, dobbiamo concludere che c'è riuscito perfettamente.

    Quanti nostri concittadini benestanti, ricchi sfondati per una vita di ladrocinio e sfruttamento, sono deceduti da allora e senza che nessuno di essi abbia seguito l'esempio di Antonino Nocera. Chi si ricorderà più di loro?

    E allora “salga” il Gran Croce e si ricordi il suo nome, perché possa servire a mo' di esempio a “...quanti fuor guerci sin de la mente in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci...” (Dante, Inferno, IV cerchio degli avari e prodighi, canto VII, 42ma terzina)

 

 

 

 

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