QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Marzo 2025


ARGOMENTI

Cartolina di oggi

UNA COLONNA DORICA, UNICA SUPERSTITE DI UN'ATAVICA FEROCIA

I PIONIERI DELL'ARCHEOLOGIA

L’EPIDEMIA DI COLERA NEL 1911 A GELA

LA BIBLIOTECA COMUNALE

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Cartolina di oggi

UNA COLONNA DORICA, UNICA SUPERSTITE DI UN'ATAVICA FEROCIA

 

 

    La cartolina di oggi risalente agli anni Venti, formato 14X9 cm. e di color seppia, raffigura i rocchi della colonna dorica scomposta nell’area di quel che poi nel 1927 diventò il Parco delle Rimembranze. La colonna quand’era ancora in piedi fu seriamente danneggiata durante il terremoto in Sicilia del 1693; ricomposta e rialzata una prima volta, nel 1750 fu riabbattuta a causa di un fortissimo vento. Fu rimessa in piedi ulteriormente nel 1951 ed è rimasta così come la si può vedere oggi.     La cartolina viaggiata con quattro francobolli di £. 5 della serie “Mestieri Italiani” con la raffigurazione di un lavorante toscano al tornio (francobollo raro valutato a seconda delle condizioni in cui si trova dalle 200 alle 800 euro); sul retro della cartolina oltre alle scritte “Ed. Costa luigi - Emporio - Gela” e “Stab. Delle Nogare e Armetti - Milano” sono riportate in una grafia illeggibile il destinatario e i saluti del mittente.     Non c'era riuscito nemmeno Phinzia, nel 282 a.C., a radere completamente al suolo Gela, cosa che invece riuscirono a fare gli stessi gelesi (allora Eracleensi) a partire dal 1233, quando fu fondato sul sito dell'antica Gela il castello fe­dericiano di Heraclea. Fame di Pietra, fame di case, un atavico binomio che dopo più di settecen­to anni doveva portare la nostra città a diventare la capitale internazionale dell'abusivismo edilizio e, grottescamente, una delle città con un rapporto vano-abitante maggiore di quello dei paesi nordici.

 

 

    Dalla feroce distruzione tardo-medievale si salvò miracolosamente una sola colonna dorica appartenente all'opistodomo del tempio di Athena del 480 a.C., forse per l'arcano destino di perpetuare, quasi a voler sfidare l'eternità, il ricordo di una civiltà classica, da cui deriva, che espanse la sua potenza e la sua cultura dorica in quasi tutta la Sicilia; questa popolazione gelese (in particolare la classe politica) che oggi, ma già da più di mezzo secolo, non riconosce più le sue origini avendole rinnegate con l'illusione industriale.

    Oggi la colonna dorica è ancora lì, nel Parco delle Rimembran­ze, un’area verde smantellata alla fine degli anni Ottanta dal “duca Ernesto” prima e successivamente dalle varie ”duchesse” che si sono succedute nella gestione delle soprintendenze; e purtroppo dopo quasi mezzo secolo an­cora non ridata alla fruizione popolare.     Inserita nel sito dell'a­cropoli di Gela antica, la colonna dorica sembra in “isolamento” a combattere e resistere per la sua sopravvivenza contro l'aria una volta ammorbata dalle esalazioni putri­de e venefiche del vicino petrol­chimico da tempo dismesso. E ci è riuscita; ad essa gli sta vicino un fante di bronzo, a ricordo dei terranovesi Caduti nella Grande Guerra, “impassibile”, quasi a volerci ammonire, oggi maggiormente, che l'amor patrio è una cosa im­prescindibile per il patrimonio spirituale di una civile popolazio­ne e che per salvaguardarlo si paga anche con l'olocausto della vita. Parole oggi declamate a vuoto. Chi volete che ci creda più…  

I pionieri dell’Archeologia e il turismo archeologico di Gela

 

    La manifestazione "I pionieri dell'archeologia, dal dopoguerra agli anni 70 attraverso le memorie dei protagonisti" presentata prima a Caltanissetta e poi a Gela, domenica 6 aprile 2003, nei locali degli ex Granai del Palazzo Ducale dall'allora Assessore provinciale al turismo Enrico Ascia, al di là del fatto che fece rivivere determinati aspetti esaltanti dell'archeologia e delle sue scoperte attraverso le parole e l'esperienza dei protagonisti, rappresentò a nostro modo di vedere un momento importante per iniziare a ridisegnare e a ridiscutere un modello di sviluppo di uno dei fattori che contribuiscono ad incrementare l’economia e l’occupazione di una comunità. Parlare d'archeologia e far parlare coloro che dal sottosuolo evidenziarono questi giacimenti culturali, in realtà ci rese partecipi di un dibattito più ampio sulle risorse archeologiche dal punto di vista della rinascita del turismo archeologico nel nostro territorio; sono tante le nostre risorse archeologiche e non esageriamo a dire che forse ancora il meglio dovrebbe venire in quanto ci sono vaste aree, tipo il Bosco Littorio e l’Acropoli, che ancora devono essere continuate a scavare. E fossero solo queste; l’area a nord delle fortificazioni greche, che aspetta di essere scavata dal 1948, i complessi protostorici dell’età del Bronzo di Disueri e di contrada “I Lotti” a Manfria, dove esistono ancora centinaia di tombe da esplorare, l’area di Bubbonia, sotto Mazzarino, e così via; tutte zone senza nessun controllo da parte della Soprintendenza e da tempo appannaggio di spietati tombaroli.

    Nella manifestazione di allora si notò l’assenza del Presidente della Provincia e dei dirigenti della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Caltanissetta sicuramente contrariati a partecipare chissà per quale recondito (mica tanto) motivo; nello stesso convegno una valida testimonianza fu data, oltre che dal dott. Enrico Ascia, dall’archeologa Enza Cilia Platamone, da Valeria Fichera, presidente dell’associazione “Sicilia musei”, dalla medievista Prof.ssa Salvina Fiorilla e dall’Archeoclub di Gela con il Prof. Nuccio Mulè. Per l’occasione fu anche stampata una pubblicazione dal titolo “I pionieri dell’Archeologia” edita dall’Assessorato al Turismo della Provincia regionale di Caltanissetta e dall’associazione “Sicilia musei”; tale pubblicazione riportò anche i ricordi, il curriculum e la bibliografia di Pietro Griffo, Dinu Adamesteanu, Pietro Orlandini, Ernesto De Miro e Graziella Fiorentini.

    Oggi a Gela e nel suo comprensorio esistono una trentina di aree archeologiche tra quelle protostoriche, greche, romane e medievali di grandi e piccole dimensioni; ma solo tre di esse (fortificazioni, bagni greci e acropoli) sono praticamente fruibili e non sempre in modo continuato; oggi per esempio per visitare le fortificazioni greche di Capo Soprano bisogna contattare il Parco Archeologico di Gela via email o telefonicamente per prenotare una sua visita. E ciò senza considerare tutti quegli scavi archeologici, effettuati su ritrovamenti casuali, che nei vari decenni sono stati realizzati nel centro storico. Senza dimenticare, inoltre, il recupero e la musealizzazione dei resti delle navi greche ritrovate nei fondali del mare di Bulala; i resti lignei della prima nave furono ritrovati nel 1989, ben 36 anni fa e ancora, nonostante che il museo delle navi di Bosco Littorio sia stato realizzato, sono ancora chiusi in casse depositate nel Museo archeologico locale, ancora chiuso alla fruizione dal 2021 per ristrutturazione.

    Si scriveva di fruizione, ma aree archeologiche fruibili da chi? Non sappiamo di preciso quale è la presenza turistica qui a Gela ma non siamo lontani dal vero nel dire che essa è praticamente a quota zero o quasi zero, dato desumibile dai numeri ufficiali di visitatori forniti dalla Regione Siciliana. Che rabbia, però, vedere i torpedoni dei turisti esteri e nostrani che da Agrigento vanno a Piazza Armerina e Caltagirone e da lì direttamente nel Ragusano saltando di fermarsi a Gela, almeno per mezza giornata; e ciò non accade perché il numero delle strutture ricettive a quanto sembra lascia a desiderare.

    Diciamolo con franchezza: siamo tagliati completamente fuori dagli itinerari turistici isolani, addirittura ci si dimentica pure di citare la nostra città e peggio ancora si consiglia in qualche sciagurato caso di non visitarla. Arriviamo al grottesco poi, quando dicono che qui non abbiamo nulla che valga la pena di visitare. Quanti bocconi amari si sono ingoiati!     

    Cari signori amministratori e cari dirigenti della Soprintendenza ai BB.CC. di Caltanissetta datevi seriamente una mossa, non si può e non si deve più rimandare. E arrivata l'ora di far fruttare i ritorni economici e occupazionali di quello che si è speso e si sta spendendo anche se poco e saltuariamente, comunque milioni e milioni, per portare alla luce le vestigia del nostro passato; anche se negli ultimi anni, grazie all’archeologia preventiva, gli oneri degli scavi sono a carico della stazione appaltante ovviamente sotto la direzione della soprintendenza archeologica territorialmente competente.

    Fino ad oggi, ed è bene scriverlo, le scoperte archeologiche hanno fatto solamente la gioia degli archeologi per le loro pubblicazioni e i loro titoli accademici; e non lo diciamo in senso negativo, anzi che ben vengano. Però, di altro si è visto poco. Cari signori politici, prima regionali e poi locali, se non si riesce a far decollare il turismo archeologico a Gela allora è meglio, metaforicamente parlando, risotterrare il tutto e lasciare alle prossime generazioni il compito di far fruttare questi nostri giacimenti culturali. In merito poi alla presenza di importanti strutture di archeologia bellica, che potrebbero dare a Gela ritorni economici non indifferenti, in particolare nel ricordare lo Sbarco Alleato a Gela del 1943, ne tratteremo in seguito

    Comunque, ritornando alla suddetta manifestazione dei pionieri dell’archeologia del 2003, successivamente nel tempo ne sono seguite altre anche di pregnante rilievo, ma visti i risultati che fono ad oggi ne sono derivati in termini di irrilevante conseguenza numerica sulla fruizione turistica, hanno lasciato purtroppo anch’esse il tempo che trovano.

L’EPIDEMIA DI COLERA NEL 1911 A GELA

    Tempo fa lo scrivente, tra un’infinità di carteggi dell’Archivio Storico del Comune di Gela, trovò casualmente una breve relazione introduttiva risalente al 1912 a firma del Sindaco dell’epoca Avv. Antonino Giurato (1874-1936), riguardante un’epidemia colerica comparsa a Gela nell’estate del 1911, in cui si legge tra l’altro un importante ed inedito spaccato delle condizioni igienico-sanitarie della città. L’Avv. Giurato assunse la carica di Sindaco il 12 agosto 1911 per concluderla il 2 dicembre del 1913. L’epidemia di colera di quell’anno imperversò dal mese di giugno a quello di dicembre per poi diminuire e sparire grazie all’azione di un adeguato intervento sanitario.

    La mortalità di allora raggiunse la media del 52,70% degli ammalati soprattutto per il fatto che la maggior parte di essi arrivava all’isolamento quasi agonizzante. In totale da giugno al dicembre del 1911 i casi accertati di colera furono 268 (batteriologicamente n. 182, clinicamente n. 86) con un totale di 183 morti. Il colera a Gela, sempre nel periodo giugno-dicembre di quell’anno, riguardò maggiormente le persone tra 30 e 40 anni e i bambini tra 0 e 5 anni con prevalenza delle femmine con 153 casi rispetto ai 115 dei maschi. Prima del 1911 il colera si presentò in modo funesto nella nostra popolazione per ben tre volte, nel 1837, 1854 e nel 1867.

    Senza togliere e aggiungere niente, qui di seguito si trascrive il contenuto della suddetta relazione del Sindaco Avv.  Antonino Giurato:

    Sappiamo tutti che esso manca di buona acqua potabile, e che non è provvisto di un sistema razionale di smaltimento dei residui della vita; in quanto poi ai servizi di disinfezione vi si provvede in modo imperfetto, per mancanza di personale ad hoc, appositamente istruito e preparato.

        Era perciò necessario adottare provvedimenti che valessero a migliorare, per quanto fosse possibile le condizioni generali d'ambiente, e per l'approvvigionamento idrico, escogitare tutti i mezzi per garentirlo da inquinamento.

        In quanto allo smaltimento delle materie fecali, per evitare che si continuasse nel deplorevole sistema di riversarle sulla superficie stradale, furono costruite delle latrine da campo alla periferia dell'abitato e fu aumentato il numero dei carri botti.

       Fu intensificato il servizio di nettezza pubblica. Fu provveduto per un'oculata vigilanza sugli spacci di generi alimentari. Si acquistarono una pompa igiea; delle lampade a formalina, ed una buona scorta di disinfettanti. Furono scelti i locali occorrenti pel lazzaretto e per la casa contumaciale.

       Mancava soltanto l'arredamento, perché l'Amm.ne del tempo era convinta che per l'anno 1910, dato che i primi casi di colera si erano avuti in Palermo verso la fine di settembre, si sarebbe facilmente evitata l'invasione del morbo nella città nostra (ciò che difatti ebbe a verificarsi), e perché l'Amm.ne parimenti reputava che sarebbe stato facile provvedersi sul luogo di tutto l'occorrente, ove se ne fosse sperimentata la necessità.

       Sopravvenuto l'inverno, le condizioni sanitarie della Città, che si erano già mantenute eccellenti, continuarono ad esserlo, e tali seguitarono in primavera e in estate.

       Però i timori della ripresa dell'epidemia, che si erano manifestati nell'anno precedente, ebbero pur troppo ad avverarsi nel 1911 in cui l’infezione, dai centri maggiori dell'Isola, si irradiò negli altri, seminando ovunque il terrore e la morte.

       Verbicaro e Belmonte Mezzagno, sono l'indice di uno stato d'animo, mantenutosi inalterato malgrado 50 anni d'unità e di tanta luce di progresso e di civiltà!

      E ancora la grande aberrazione, frutto della più crassa ignoranza, che immola le sue vittime in un impeto di follia collettiva! 

      II popolino si crede avvelenato e si rivolta, incendia, uccide, devasta; aggrava le condizioni miserevoli in cui si trova; respinge la profilassi, ed agevola la marcia vittoriosa del morbo, che s'asside sulle rovine fumanti provocate dalla superstizione!

     Era un monito, che non andava trascurato. Il morbo continuava nella sua marcia e la disposizione degli animi del popolo minuto in Sicilia non affidava per l'avvenire che si faceva quanto mai minaccioso.

     L'Amm.ne al potere, comprese che non vi era da indugiare, e perseverando nelle misure di profilassi adottate, pubblicò l'ordinanza sindacale 21 giugno 1911, riflettente i depositi d'immondizie; l'obbligo delle disinfezioni giornaliere delle latrine e lo espurgo dei pozzi neri; l’imbianchimento con latte di calce dei locali di spaccio di generi alimentari; il divieto d'innaffiare gli orti con acque cloacali; di asportare o trafugare oggetti provenienti da abitazioni dove si fosse verifìcato qualche caso di malattia sospetta ecc. ecc.

     Contemporaneamente fu indetta dal Sindaco una riunione dei medici condotti e liberi esercenti con l'intervento dell'Ufficiale sanitario e della Giunta Municipale, per discutere in merito ai locali d'isolamento ed osservazione.

    Fu ventilata l'idea di costruire apposito baraccamento, anzi il D.r Solito assunse l'incarico di redigere una relazione in proposito, che insieme col verbale di seduta, fu poi trasmessa alla R. Prefettura, per ottenere la necessaria autorizzazione alla spesa, che, come era facile prevedere, sarebbe riuscita non indifferente.

    Nel frattempo, il 24 luglio 1911, intervenne la morte del mio compianto predecessore, Cav. Uff. Navarra, e, per dolorosa necessità, gli affari dovettero subire una certa remora fino a che non si procedette alla nomina del nuovo Sindaco.

    La quistione perciò rimase insoluta e quando assunsi il potere trovai, come dissi, che la scelta del lazzaretto e della casa di osservazione rifletteva il convento di S. Nicola Tolentino al Caposoprano, e l'ex convento S. Agostino.

    Oltre all'arredamento occorreva provvedere al personale d'assistenza: medici, infermieri; e di servizio, cucina e lavanderia.

    Queste le condizioni da me trovate, quando nel 12 agosto 1911 assunsi la carica di Sindaco.”.

    A proposito di quanto si legge sopra nella relazione riferito ai “carri botti”; nei tempi passati, prima dell’impianto della fognatura cittadina, il nostro Comune istituì un servizio di quartiere con dei carri che portavano sopra delle botti per la raccolta “…delle acque luride e di rifiuto” e delle deiezioni prelevate dai cantri casa per casa, con il conduttore dello stesso carro che avvisava del suo arrivo le persone con una trombetta, era il cosiddetto “ ‘u patruni da merda, passa”, frase che è rimasta nella memoria dei gelesi per definire un tizio presuntuoso.

    Nel 1854 la popolazione siciliana fu interessata da un’epidemia di colera che causò circa 45mila vittime, mentre l'ultima importante epidemia di colera in Italia avvenne in Campania e in Puglia nel 1973 anche se successivamente nel 1994 a Bari si verificò un'epidemia di limitate proporzioni con casi sparuti.

    Il colera, infezione diarroica acuta caratterizzata da una disidratazione a volte fatale, è causato dall’assunzione di cibo o acqua contaminati dal batterio Vibrio cholerae e, nonostante che sia facilmente curabile, esso rimane una minaccia globale a causa della sua elevata morbilità e mortalità in particolare nelle popolazioni di alcune parti dell’Africa e dell’Asia dove esiste un’assistenza sanitaria inadeguata o prevalente assente. Negli ultimi duecento anni a livello mondiale si sono succedute ben sette pandemie di colera con 2,9 milioni di casi e 95.000 decessi ogni anno.

LA BIBLIOTECA COMUNALE

 

     Sicuramente non è compito facile gestire l’Assessorato alla Cultura del nostro Comune vuoi perché le Amministrazioni sono state quasi sempre indolenti a questa tematica, relegandola spesso agli ultimi posti dell’azione amministrativa, vuoi perché si è perpetrata nei decenni una scelta di persone che, da una parte, non sempre sono state all’altezza del compito assegnato, dall’altra, pur essendo competenti, non hanno avuto un portafoglio adeguato a tale carica assessoriale.

    Tanti sono i casi che si possono considerare a dimostrazione di quanto si afferma e che si riferisce anche a tutti i beni culturali presenti a Gela; anche se in questo contesto entrano in gioco altre istituzioni come il Parco Archeologico, la Soprintendenza di Caltanissetta e gli assessorati competenti della Regione Siciliana.

    Ma l’esempio più significativo è rappresentato dalla Biblioteca Comunale il cui funzionamento è legato all’azione amministrativa comunale che dovrebbe garantire un pieno accesso alla “Cultura” in tutte le sue sfaccettature con la convinzione che essa appartenga a tutti, come l’aria e l’acqua, e che in essa abbiamo tutti il diritto, quindi anche l’obbligo, di impegnarsi. Come si sa tale istituzione ha sede nell’edificio all’angolo tra via Palazzi e Largo San Biagio, fino a qualche lustro fa sede anche di due assessorati comunali e una volta sede di un lazzaretto e ancor prima di un convento dei frati agostiniani.

    Qui di seguito riportiamo alcune notizie sulla storia della nostra biblioteca che fu istituita ben 150 anni fa, quando un consigliere comunale della nostra città, tale Santi Gioffrè, il 22 aprile 1875 in una seduta ordinaria del Consiglio comunale propose “…l'impianto di una biblioteca”. Nel 1876 cosi, dopo la redazione di un regolamento e lo stanziamento di cinquemila lire, la sede della biblioteca comunale fu ubicata nel palazzo del Convitto Pignatelli.

    Le entrate del nostro Comune nei primi decenni dall'istituzione della biblioteca non permisero quasi mai un adeguato stanziamento di fondi per il suo funzionamento, dunque inizialmente si ebbero pochi libri, molti problemi per il personale e scarsità di suppellettili. Un primo notevole contributo in libri si ebbe successivamente quando furono esperite le pratiche dal Comune tendenti a rilevare tutti quei volumi che si trovavano nelle piccole biblioteche delle corporazioni religiose terranovesi dopo l’entrata in vigore della legge 7 luglio 1866, n. 3036 e relativo trasferimento dei beni ecclesiastici al demanio del Regno. In particolare, più recentemente con legge 20 maggio 1985 n. 222, fu istituito il FEC (Fondo Edifici di Culto) che fu assegnato al Ministero dell’Interno; a Gela tale Fondo è proprietario delle chiese di San Francesco d’Assisi, del Carmine, di Santa Maria delle Grazie e di San Francesco di Paola. Come dicevamo fu certamente un grosso contributo in libri, però, soprattutto dal punto di vista quantitativo, mentre da quello qualitativo fu modesto, in quanto quei libri in modo preponderante si riferivano ad argomenti di Teologia.

    Ai libri del Fondo per il Culto si aggiunsero in vari periodi quelli donati da diversi cittadini terranovesi di cui ricordiamo gli eredi dell'Ing. Giuseppe Di Bartolo e il Cav. Antonino Giurato. Quest'ultimo oltre ai libri, donò pure al Comune quattro importanti lettere autografe del grande musicista Vincenzo Bellini, le quali furono esposte in una bacheca nella sala consiliare; le stesse lettere, però, nel 1896, su richiesta del sindaco di Catania, furono a loro volta donate al Museo Civico Belliniano di quella città dove attualmente si trovano.

    Diversi furono i direttori onorari che nel tempo si avvicendarono alla direzione della nostra biblioteca, ricordiamo il sacerdote Don Giuseppe Solito e il Preside Prof. Giovanni Mela, all'epoca titolare della cattedra di Greco e Latino nel Regio Liceo “Eschilo”; si deve proprio a quest'ultimo direttore la creazione di un catalogo sistematico dei libri.

    Intorno al 1960 intanto, ad opera del Centro di Servizi Culturali dell'ISES (Istituto per lo Sviluppo dell'Edilizia Sociale), convenzionato con la Cassa per il Mezzogiorno, sorse un'altra biblioteca in via Martorana, fornita di più di 7 mila volumi, che per più di quindici anni fu frequentatissima. Chiuse purtroppo i battenti, non si è mai riusciti a saperne il perché, nella seconda metà degli anni Settanta; fortunatamente, anni dopo, i suoi libri furono incamerati nella biblioteca comunale.

    Con fasi alterne di chiusura ed apertura, la biblioteca comunale ebbe il risultato di essere stata dimenticata dagli stessi fruitori. Dopo la realizzazione del nuovo Municipio, la biblioteca comunale dal Convitto fu trasferita nei locali a pianoterra dell’edificio dell’ex Pretura in via Mediterraneo (Filippo Pane era il responsabile) per poi passare nell’aula B, all’interno dello stesso Municipio al primo piano, prospiciente piazza San Francesco (responsabile la Sig.a Vicino). Conobbe anche un periodo di profondo degrado quando il suo locale venne addirittura adibito anche a deposito di acqua minerale per consiglieri e amministratori durante le riunioni del civico consesso. In tutti quegli anni, e forse questa è la cosa più deprecabile, non ci fu mai un interessamento nè di associazioni che si richiamano a scopi filantropici nè dello stesso ambiente culturale gelese, ancora oggi, purtroppo, restio e lontano dai problemi che affliggono la nostra biblioteca.   

    Durante un lungo periodo di inattività sparirono anche molti libri; il compianto amico Gerlando Comandatore, forse uno dei pochi che s'interessò veramente alle sorti della nostra biblioteca, ci diceva della sparizione di diversi pregevolissimi ed inestimabili incunaboli e di tante altre importanti opere antiche. In quali mani ignobili andarono a finire non è dato sapere.

    Ma fortunatamente, est modus in rebus. E infatti nel 1985, finalmente, la nostra biblioteca ricevette un po’ di attenzione da parte dell'Amministrazione comunale. Fu portato avanti un progetto di ristrutturazione il cui risultato, tra l'altro, fu quello del suo trasferimento, nella primavera del 1986, nei più ampi e funzionali locali di via Butera, nella sede appena ristrutturata dell'ex Convento dei PP. Agostiniani, contigua al cimitero monumentale, sede inaugurata nel dicembre dello stesso anno in occasione delle onoranze in memoria del compianto concittadino Prof. Emanuele Morselli (1899-1975), eminente studioso e illustre concittadino. Per ricordare il Prof. Morselli oltre l’intitolazione di una locale scuola superiore, fu realizzato dai suoi parenti un busto bronzeo con piedistallo che fu ubicato nel giardinetto contiguo alla biblioteca, busto, però, che nei primi mesi del 2024, è stato trafugato.

    Perché quindi si è scelto di scrivere della biblioteca comunale? Il motivo è semplice! Perché la biblioteca, prima che fosse confortata dall’attenzione delle ultime amministrazioni comunali, nell’ultimo ventennio è stata dimenticata e abbandonata; infatti, da anni non venivano acquistati libri, dei 6 computer in dotazione ne funzionavano solo due e non avevano nemmeno la possibilità di collegamento a internet a parte l’obsolescenza degli stessi (si figuri che come sistema operativo utilizzavano ancora il Window XP professional, nato nel 2001, con microprocessore pentium, commercializzato a partire dal 1993). Esisteva pure un servizio di emeroteca, un servizio di quotidiani e settimanali fruito da molti cittadini, che è stato soppresso, si immagini quale “enorme spesa” il Comune avrebbe dovuto sostenere. Da aggiungere pure l’esistenza di un’idea-progetto su tutto l’edificio che ospita la biblioteca, approntato gratuitamente qualche anno fa dalla Dott.ssa Giorgia Turco e dallo scrivente sulla rimodulazione dei vari servizi di consultazione, che non si sa che fine abbia fatto.

    Con queste considerazioni si è ritenuto opportuno sollevare il problema perché veramente piange il cuore nel constatare il lassismo sul bene culturale che dura già da quasi mezzo secolo e, in particolare, nel vedere abbandonata la nostra Biblioteca, importante e nobile istituzione cittadina che dovrebbe essere rimodulata cosi da stare al passo con i tempi moderni. A parte le sollecitazioni continue dei funzionari della Biblioteca, tutto quanto scritto sopra ha rappresentato il contenuto di diverse lettere aperte inviate periodicamente dallo scrivente al Comune di Gela.

    La Biblioteca comunale nel 2021 è stata chiusa alla pubblica fruizione per una sua necessaria e indifferibile ristrutturazione. Dopo una prima inaugurazione della consegna dei locali, fatta dalla precedente amministrazione nel 2023 e una seconda dall’attuale il 15 novembre del 2024, la biblioteca comunale, anche con diverse inefficienze, lunedì 18 novembre 2024 ha riaperto i battenti.

    In chiusura si desidera far conoscere quanto di importante si trova tra i 35.000 libri nella nostra biblioteca a parte i costosi volumi della Treccani e di altre opere che nel corso dei passati decenni l’hanno impreziosita. Ci riferiamo al Fondo Antico dei libri che è costituito da circa 2.500 volumi, a partire dall’anno 1581, che trattano di diverse tematiche, dalla Filosofia alla Religione, dall’Architettura (con diverse opere di Palladio) alla Medicina, dalla Storia antica e moderna alla Geografia, dalla Letteratura alla Giurisprudenza, dall’Agricoltura all’Economia oltre a prediche, sermoni, retorica, quaresimali, opera omnia, Bibbia e Antico e Nuovo Testamento; ed ancora commentari, panegirici, trattati, orazioni, trattati di teologia morale, dizionari, saggi, novelle, narrativa, ecc.

    Oltre ai libri classici della nostra letteratura (come il Decamerone di G. Boccaccio del 1804, Le Rime di F. Petrarca del 1805, dell’Orlando Furioso di L. Ariosto del 1812), sono anche presenti opere che hanno riferimenti alla nostra città in antico come: Sicilia Sacra di R. Pirri del 1641, Biblioteca Sicula di Antonio Mongitore del 1707, La Sicilia in prospettiva di G.A. Massa del 1709, Della Storia di Sicilia di Tommaso Fazzello del 1817, Delle Memorie istoriche dell'antica città di Gela nella Sicilia del 1753 opera del carmelitano Carlo Filiberto Pizolanti,  ecc.

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