QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Novembre 2025

IL MILITARE GELESE ANGELO MORELLO FUCILATO

PORTA MARINA

Non tutti i crolli …vengono per nuocere

CARTOLINA DI OGGI

IL BUSTO MARMOREO DI RE UMBERTO I NELLA PIAZZA OMONIMA

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IL MILITARE GELESE ANGELO MORELLO

TRA GLI INNOCENTI FUCILATI PER DECIMAZIONE

NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

 

    La mattina del 16 luglio 1917 al muro del cimitero di Santa Maria la Longa, un piccolo comune in provincia di Udine, testimone il vate Gabriele D'annunzio, furono fucilati 16 fanti dell’eroica Brigata Catanzaro. I nomi dei caduti, rimasti ignoti per 90 anni, nel 2007, grazie all'instancabile lavoro di ricerca fatto dallo storico catanzarese Mario Saccà, sono stati resi noti per la prima volta; il nostro interesse per questa notizia è quello che tra i sedici fucilati compare il nome del militare conterraneo Angelo Morello, …del 142° Fanteria - 6a Compagnia, matricola 26702, Distretto 31, classe 1891, nativo di Terranova di Sicilia provincia di Caltanissetta figlio di fu Francesco e di Minardi Angela…”.

    La sedizione della Brigata Catanzaro è citata in tutti i libri che si occupano della Grande Guerra e al di là di comprendere se la rivolta fu motivata da una componente politica socialista, ipotesi adombrata allora in diversi rapporti inviati ai comandi dell'Esercito,  è probabile che si trattò solo di un moto di ribellione dettato dalle pietose condizioni della truppa e dalle negazioni di essere inviati in licenza (specie i Siciliani) ed avere la possibilità di essere spostati verso il più tranquillo fronte trentino.

    I fanti della Brigata Catanzaro, dopo essere stati falcidiati in buon numero sul fronte, si ribellarono agli ordini dei generali nell'estate del 1917 e, per il loro rifiuto di tornare in prima linea, diversi furono fucilati. Finite le fucilazioni, furono tutti rispediti in prima linea dove solo qualcuno riuscì a salvarsi. Stessa sorte toccò, per analoghi ammutinamenti, ad altre brigate, ne ricordiamo solo alcune tra le più eroiche e sfortunate: la “Avellino”, la “Teramo”, la “Bari”, la “Messina” e la “Salerno”.

    Ad ogni piccola insubordinazione le direttive del Gen. Cadorna comportavano che decine di fanti sarebbero stati fucilati sommariamente dai carabinieri, senza processo e, laddove non si individuavano i responsabili, si procedeva alla drammatica strategia della decimazione: un soldato su dieci, innocente o colpevole, veniva sorteggiato in una sorta di agghiacciante roulette russa e mandato di fronte al plotone di esecuzione, senza pietà. E ciò accadde al nostro Angelo Morello della 6a compagnia del 142° Reggimento della Brigata Catanzaro. Le grida di sfogo, gli spari in aria, le bombe a mano e i corpo a corpo smisero solamente quando cominciò ad albeggiare. Intervennero a questo punto l'artiglieria, i carabinieri e gli squadroni di cavalleria che circondarono le truppe in rivolta facendo terminare la sommossa.

    Così il mattino del 16 luglio i carabinieri e la cavalleria ripresero in mano completamente la situazione. Sedici militari furono arrestati con le armi cariche e le canne dei fucili ancora scottanti e ne fu decisa l'immediata fucilazione. Dopodiché la 6a compagnia del 142° fu messa in riga ed ebbe inizio la conta, con la decimazione di altri dodici soldati: uno, due, tre, …nove e dieci. Uno da fucilare ogni 10 uomini, scelti a caso e tra essi il nostro sfortunato e innocente Morello. In totale furono fucilati 28 militari della Brigata Catanzaro.

    Da tempo questo nostro cittadino Angelo Morello è stato totalmente dimenticato; farebbe bene la commissione di toponomastica del Comune di Gela a dedicargli doverosamente almeno una via in modo tale da perpetuarne la memoria anche se la sua storia compare in una pubblicazione dello scrivente del 2018 dal titolo “Gela dal Risorgimento alla Prima Guerra Mondiale”.

    Testimone della fucilazione dei decimati, come detto sopra, il vate Gabriele D’Annunzio che scrisse un’emblematica pagina di storia nel brano: “Cantano i morti con la terra in bocca e le carene valicano i monti” del “Libro Ascetico della Giovane Italia”: …Di schiena al muro grigio furono messi i fanti condannati alla fucilazione, tratti a sorte nel mucchio dei sediziosi. Ce n’erano della Campania e della Puglia, di Calabria e di Sicilia: quasi tutti di bassa statura, scarni, bruni, adusti come i mietitori delle belle messi ov’erano nati. Il resto dei corpi nei poveri panni grigi pareva confondersi con la calcìna, quasi intridersi con la calcìna come i ciottoli. …I fanti avevano discostato dal muro le schiene. Tenevano tuttora i piedi piantati nella zolla ma le ginocchia flesse come sul punto di entrare nelle impronte delle calcagna. E, con una passione che curvava anche me verso terra, vidi le loro labbra muoversi, vidi nelle loro labbra smorte formarsi la preghiera: la preghiera del tugurio lontano, la preghiera dell’oratorio lontano, del santuario lontano, della lontana madre, dei lontani vecchi”.

    Il poeta tornò un´ora dopo mezzogiorno sul luogo del supplizio e depose un fascio di fo-glie d´acanto sui cadaveri in attesa della sepoltura: …Le armi brillarono. M’appressai. Attonito riconobbi le foglie dell’acanto. Recisi i gambi col mio pugnale. Raccolsi il fascio. Tornai verso gli uomini morti che con le bocche prone affidavano al cuor della terra il sospiro interrotto dagli uomini vivi. E tolsi le frasche ignobili di sul frantume sanguinoso. Chino, lo ricopersi con l’acanto”.

    Negli estratti dell’atto di morte dei sedici soldati fucilati della Brigata Catanzaro vergognosamente non è riportata nessuna motivazione se non quella di “morto in seguito a ferite da fucile per fatto di guerra”. Inoltre, solamente 2 soldati dei sedici fucilati compaiono nell’Albo d’Oro dei caduti della Grande Guerra e nell’Istituto del Nastro Azzurro. Per i rimanenti 14 fucilati nella rivolta della Brigata Catanzaro a Santa Maria La Longa, nell’atto di morte compare il falso motivo del decesso: “ferite riportate in combattimento” o “infortunio per fatto di guerra”. Ovvero l’ipocrisia di Stato del Regno d’Italia!!

    Questa è stata la Grande Guerra!! Un enorme crimine con un milioneduecentoquarantamila deceduti, tra cui 651.000 militari e 589.000 civili: un infame imbroglio e un orrendo massacro in cui, le “Due Sicilie” in particolare, fecero la parte della “carne da macello”.

PORTA MARINA

Non tutti i crolli …vengono per nuocere

 

    Non tutti i crolli …vengono per nuocere. Si, proprio così, parafrasando un vecchio detto. Infatti negli anni Novanta crollò rovinosamente parte del muro angolare delle pareti ovest e nord di quella che una volta era Porta Marina; un crollo che portò alla ribalta quel che era rimasto di questa antica Porta cinquecentesca che purtroppo, a partire dagli anni Sessanta, è stata prima dimenticata e poi azzerata, e non è un caso isolato, dalle istituzioni.

    In realtà di Porta Marina rimaneva solamente il ricordo e fino a qualche decennio fa anche qualche vestigio relativo all’imposta e ai piedritti delle due arcate; arcate che come si sa furono smontate verso la seconda metà degli anni Sessanta per essere ricostituite in tempi successivi grazie alla numerazione effettuata sui conci di pietra; cosa che non è mai avvenuta per il semplice motivo che l’istituzione che ha proceduto allo smontaggio, nel conservare i conci delle due arcate, non ne ricorda più …l’ubicazione. Un modo come un altro per dire che si sono perduti (sic).

    Il tratto della parete crollata faceva parte del muro perimetrale dell’abitazione del Sig. Antonio Scibona, passato alla storia recente di Gela come primo contestatore delle istituzioni; infatti, alla fine degli anni Cinquanta lo stesso Scibona assieme alla madre, in relazione allo sfratto ricevuto dal Comune da tale abitazione, si caricò letto e comodini per andarli a sistemare prima a ridosso dell’ingresso sud della Chiesa Madre e poi in Piazza Umberto I; tale fatto suscitò un tale scalpore nell’opinione pubblica che il sindaco dell’epoca fu costretto a revocare l’ordine di sfratto. Così Scibona e l’anziana madre rimasero in quella casa fino alla loro morte.

    Assieme alla casa del Sig. Scibona dovevano pure essere diroccati la chiesa di San Francesco, il torrione a sud di Porta marina oltre alla stessa Porta; se allora ciò non accadde lo si dovette alla vibrata protesta di diversi gelesi, tra essi un ruolo decisivo lo ebbe il compianto padre Luigi Aliotta, cultore di patrie memorie.

    Nel 1993, durante i lavori di sistemazione del torrione a lato di Porta Marina, realizzati dalla Soprintendenza nissena, fu effettuata un’eccezionale scoperta: una porta d’ingresso alla città con arco a sesto acuto e l’inizio di un selciato di epoca tardo-medievale risalente al XIII secolo, porta ubicata proprio sul muro perimetrale nord dell’abitazione del detto Scibona.

    Si sarebbero potuti completare i lavori andando anche a sistemare tale abitazione che poteva contribuire come spazio alla fruizione di questa antica e più importante Porta della città, ma allora non si fece nulla; diciamo che è rimasta solamente una scoperta che è servita a qualcuno …per migliorare il suo curricolo. Poi per evitare altri crolli rovinosi sulla testa dei passanti, 24 anni fa il Comune di Gela fece realizzare un sistema di copertura in grigliato di ferro e con delle tavole; sistema che col passare del tempo si è squinternato e nonostante ciò l’istituzione ancora sta a guardare, ammesso che se ne sia accorta, senza minimamente intervenire. 

P.S. Si spera che chi di competenza non lasci ancora nel più totale abbandono questa Porta medievale del XIII secolo con arco a sesto acuto, scoperta casualmente nel 1993 che vale la pena, e come se vale la pena, di essere portata alla pubblica fruizione.

Cartolina di oggi

IL BUSTO MARMOREO DI RE UMBERTO I NELLA PIAZZA OMONIMA

 

 

    Dopo l’assassinio di re Umberto I del 29 luglio del 1900 a Monza, in diverse città d’Italia per il profondo cordoglio dimostrato alla scomparsa del re, oltre all’intitolazione di piazze e strade furono realizzati dei monumenti dedicati alla memoria del monarca; una di queste città fu Gela, allora Terranova di Sicilia, che dopo circa un mese intitolò al re la piazza principale già Piazza del Duomo. E anche se dopo la morte del re passarono due anni per la realizzazione del suo monumento ed un altro per la sua inaugurazione, a quanto è dato sapere fu il primo monumento eretto in Sicilia “per pubblica e spontanea sottoscrizione…”.

     Così il 20 settembre del 1903 il busto marmoreo a Umberto i fu inaugurato in presenza delle maggiori autorità cittadine e di una strabocchevole folla; dopo l’inaugurazione, dalla piazza partì un corteo che si diresse verso la Villa Comunale per celebrare anche l’anniversario della presa di Roma.

      Il 21 settembre 1903 il Cav. Salvatore Nocera, presidente del comitato per l’erezione del monumento al re, ricevette due telegrammi: il primo, a firma del ministro della Real Casa, Gen. Emilio Ponzo Vaglia che così recitava: “S.M. il Re appreso con grato animo durevole omaggio ieri costi consacrato memoria Umberto I, manda cordiali grazie a quanti con Lei promossero patriottica iniziativa e parteciparono devota dimostrazione.”; il secondo, a firma del Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli, dal seguente testo: ”…Plaudendo a codesta gentile cittadinanza che con pensiero altamente patriottico ha voluto solennizzare il glorioso anniversario del compimento dell'Unità Nazionale con l'inaugurazione del monumento al compianto Umberto I, porgo ringraziamenti vivissimi pel saluto a me rivolto e di tutto cuore lo ricambio.

    Per l’inaugurazione del monumento al re “…a cura e spesa del Comitato” fu realizzato unnumero unico dal titolo “Pel Re buono”, un elegante opuscolo, con caratteri e bordature del frontespizio colo oro, compilato dallo scrittore locale Vincenzo Maugeri Zangara e stampato qui dalla Tipografia Ved. Scrodato; nell’opuscolo oltre agli interventi del Presidente Nocera, del compilatore Vincenzo Maugeri Zangara e del Sottoprefetto di Terranova Cav. Avv. Cesare Gullotti, furono inseriti per l’occasione anche quelli di personaggi importanti come Luigi Capuana, scrittore e critico letterario, Emma Boghen Conigliani, scrittrice e critica letteraria italiana, Giovanni Marradi, poeta e scrittore, Giovanni Scardonelli, scrittore, e Onorato Roux scrittore.

    Sempre in occasione dell’inaugurazione, sui muri della città apparve un manifesto della massoneria terranovese, allora una delle più importanti dell’Isola, a firma “I Liberi figli di Gela” su cui tra l’altro si leggeva: “…Concittadini, La Massoneria Terranovese… E la vostra numerosa presenza alla consegna del ricordo marmoreo al Rè buono e leale, dimostrerà ancora una volta come in questa Città, che pur diede i suoi martiri per il Patrio Risorgimento, non verrà mai meno il culto per la venerata memoria di quegli Uomini che, con l’olocausto della loro vita, han dato a noi Italiani la gioia di gridare ora e sempre Viva l’Italia! Viva Roma Italiana!”.

    La cartolina di oggi dei primi degli anni Dieci, ritrae la parte di nord-est di Piazza Umberto I e il busto marmoreo del re. Poggiante su un piedistallo, corretto ed armonico nelle sue linee architettoniche, in marmo di Carrara con zoccolatura bugnata in breccia di Billiemi è supportato da un robusto basamento di forma quadrata con scalini e pilastri angolari provvisti di scuri è circondato da un giardinetto con una ringhiera in ferro battuto.

    Sul piedistallo si eleva il mezzo busto del sovrano, realizzato dal palermitano Antonio Ugo, scultore di importanti opere tra le quali primeggia la scultura del cardinale Celesia nella Galleria d`Arte Moderna di Roma. Sulle quattro facce dello stesso piedistallo, su dei medaglioni sono riportati i nomi dei quattro Comuni in cui avvennero gli episodi più importanti della vita del re e cioè Busca, Casamicciola, Napoli e Villafranca. Inoltre, al di sopra di quest’ultima città, in un altro riquadro si legge “A Umberto I, I Terranovesi 1902”; tale anno come detto più sopra si riferisce al compimento del monumento al re, e non quindi alla sua inaugurazione che ripetiamo avvenne il 20 settembre del 1903.

    Ai lati dello stesso monumento vi sono diverse persone (secondo le usanze di allora tutte con cappello, ragazzi compresi) mentre sullo sfondo del Palazzo Rosso si vedono i fregi settecenteschi dei balconi del primo piano e gli ammezzati, mentre a pianoterra si vede l’insegna con la scritta “SALONE” in uno dei due ingressi. Sempre ai lati del monumento si notano due lampioni con lampade, impiantati nel 1908 quando la città fu servita dalla corrente elettrica.  Sul lato opposto si osserva il palazzo all’angolo via Matrice-via Porta Caltagirone (quest’ultima poi nel 1911 denominata via Giacomo Navarra Bresmes) oltre ad un gazebo con tenda sul marciapiede prossimo alla chiesa; le didascalie “Un saluto da Terranova di Sicilia” e “Piazza Umberto I.” completano il fronte della stessa cartolina.

    La Cartolina vintage, formato 14X9 cm. a colori, porta sul retro la scritta “3417 Edit.  P. Mossuto - Terranova di Sicilia”; affrancata con un francobollo di 5 centesimi di Poste Italiane ne riporta il destinatario tale “Sig. Prof. Sante Pirani e famiglia Via Caricatore 27 Sciacca” e la scritta del mittente “29.10.912 Distinti Cordiali Saluti… (firma del mittente illegibile)”.

    Nel 1952 il busto marmoreo, nonostante che fosse stato il primo monumento dedicato al re in Sicilia e avesse dato la denominazione alla stessa piazza su cui era posizionato, fu espiantato per essere trasferito all’interno della Villa comunale; al suo posto l’anno dopo fu innalzata la statua bronzea di un nudo femminile che a torto e per spiccia ignoranza è stata definita come Cerere.

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