QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Gennaio 2023

ARGOMENTI

     A partire da questo mese e per altri 22 si scriverà sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò avverrà con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive dello "Sbarco dei Rodio-Cretesi"
1. Sbarco dei rodio-cretesi

Da un balcone prospiciente il Corso di Gela

Emanuele Labiso, un gelese antiborbonico a Palermo

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1 - Sbarco dei Rodio-Cretesi

     La colonizzazione, assieme alla nascita della “polis”, fu un fenomeno grandioso che segnò l’Età greca arcaica. I coloni, una volta sbarcati nel luogo prescelto, vi trasferivano il focolare della città madre, le loro leggi, le istituzioni e la loro religione; la nuova “polis” fondata, manteneva spesso stretti rapporti politici e commerciali con la madrepatria anche se costituiva una città-stato, completamente autonoma e del tutto indipendente. Dalla narrazione storiografica sulla guerra del Peloponneso, descritta dallo storico ateniese Tucidide, si apprende che intorno al primo decennio del VII sec. a.C. un gruppo di coloni greci, provenienti dalle isole egee di Rodi e Creta, guidati rispettivamente da Antìfemo e Entìmo, sbarcarono sul litorale sud-occidentale della Sicilia, nei pressi del Fiume Gela.

    Antonio Occhipinti, con i suoi acquerelli, inizia un percorso storico-figurativo su Gela, partendo proprio dallo sbarco dei coloni greci sulla sua costa. Attraverso una spontaneità che nasce non solo da un lavoro paziente, ma soprattutto dalla sintesi di forme che provengono da visioni intime, l’autore, dipingendo a modo suo, con una visione e un’interpretazione molto personale oltre a una scelta di colori sobri, sintetizza la scena dello sbarco facendoci immaginare una moltitudine di coloni sul litorale di Gela, le loro navi alla fonda in rada, una necropoli protostorica con tombe a colombaia e, sullo sfondo, un villaggio capannicolo riferibile a una popolazione sicula, da diversi secoli attestata in questa parte della Sicilia.

    Antìfemo e Entìmo con i loro uomini incontrarono diverse ostilità da parte degli indigeni, ma essi ebbero facile ragione su quella gente primitiva e male armata, peraltro dedita alla pastorizia e all’agricoltura da dove traevano il loro sostentamento. Le popolazioni protostoriche del territorio di Gela attestate in un primo tempo nelle immediate vicinanze del mare, con l’insediarsi di nuovi colonizzatori furono spinte nell’entroterra, a nord verso le montagne dove costituirono dei capisaldi rupestri.

1 - The Rhodium-Cretans landing

     The birth of the “polis” as well as its colonization marked the Greek archaic era. The settlers landed in the chosen location and, after, they moved there their “home”, including their laws, institutions, and their religion. The new “polis” was an independent and autonomous city-state, but it often kept political and commercial relations with the motherland. The history about the Peloponnesian War, described by the Athenian Thucydides, tells that around the first decade of the 7th century B.C. a group of Greek settlers from the Aegean islands of Rhodes and Crete, led by Antìfemo and Entìmo, landed on the south-western coast of Sicily, near the river Gela.

    The Athenian historian Thucydides tells that around the first decade of the seventh century B.C. a group of Greek settlers coming from the Aegean islands of Rhodes and Crete, led respectively by Antìfemo and Entìmo, landed on the south-west coast of Sicily, near the river Gela.

Anthonio Occhipinti begins here an historical and figurative journey about Gela, starting from the landing of the Greek settlers on its coast.  The artist represents the landing scene giving us the impression to see a multitude of settlers on the coast of Gela, their ships at anchor in the harbor, a protohistoric necropolis with a columbarium and, in the background, a village of huts, which seems to refer to a population living in this area of Sicily.

    The Greek settlers could easily overcome the hostile natives, who were farmers not used to war and thus poorly armed. The protohistoric populations of Gela, who had settled in the immediate vicinity of the sea, were pushed inland by the new settlers, to the north towards themountains where they built fortifications.

Da un balcone prospiciente il Corso di Gela

     La cartolina illustrata, con ampio margine sul lato destro utilizzato per scrivere al destinatario, datata 27 settembre 1904 ed edita dai F.lli Lauricella di Terranova, ritrae il Corso nei pressi dell’incrocio con via Conservatorio (oggi via G. Marconi), con una foto scattata da un balcone di Palazzo Bresmes, all’angolo nord-est di vico Cappadonna. A sinistra compare lo spigolo di Palazzo Tedeschi con sul balcone l’asta porta bandiere in quanto il proprietario come viceconsole rappresentava l’America Latina; di fronte, sul lato destro del Corso, l’elegante portale del Palazzo Ventura seguito da una abitazione che sul davanti mostra una serie di cavalletti che sostengono delle tovaglie, forse uno stenditoio. Sempre a destra sulla foto si vedono, in sequenza dopo l’incrocio, dei palazzi, quello secentesco (già chiesa di San Corrado) del marchese Di Fede con i balconi bombati e delle tavole a bancarella sul marciapiede all’angolo di via Conservatorio e l’altro settecentesco del Barone di Sabuci Alessandro Mallia, fino alla via omonima; ancora, sullo sfondo, il largo Madrice con il muretto del pomerio della chiesa, il corpo avanzato del Circolo Fedeltà e Concordia in piazza Umberto I, l’attiguo Albergo Trinacria a due piani, il muro laterale della chiesa del Rosario, la cupola della chiesa Madre e le torri campanarie delle due chiese anzidette. Lungo il marciapiede destro, inoltre, si osservano i lampioni a petrolio, una botte (?) e una sedia davanti l’ingresso di una casa e subito dopo la tenda parasole della farmacia Solito; le porte delle case, consuetudine di allora, avevano le ante con apertura verso l’esterno; oggi l’unica porta rimasta con tale apertura a due ante è quella della farmacia Presti sul Corso, vicina ai Quattro Canti.

    Sul davanti della cartolina, a destra nel suddetto margine, oltre la didascalia Terranova di Sicilia Corso Vittorio Emanuele, si leggono le scritte: “Tua Bianca 27-9-904. Cara Mamà mia. - Non ti scrivo una lettera poichè prima di riceverla, vedrai a Rodrigo, il quale arriva a Palermo domani sera. Egli ti racconterà tutto quello che abbiamo fatto”.

    Sul retro della cartolina oltre all’annullo postale e a due francobolli di 5 cent raffiguranti l’aquila sabauda, si legge il destinatario: “Alla Nobile Signora Donna Bianca di Pietratagliata, via Serradifalco, Palermo”.

    La cartolina, misura 14X9 cm. e sul retro al centro riporta le scritte “CARTOLINA POSTALE” e subito sotto “(Carte Postale d’Italie)” ed ancora, in verticale sul margine sinistro della stessa cartolina, “N.B. Sul lato anteriore della presente si scrive soltanto l’indirizzo”.

Emanuele Labiso, un gelese antiborbonico a Palermo

    Un personaggio gelese dell’Ottocento, caduto nel più totale oblio ma che merita di essere ricordato, è l’Ing. Emanuele Labiso. Nacque qui il 12 novembre del 1825 da distinta e agiata famiglia; sin da giovanetto mostrò grande amore per lo studio, tant’è che il dotto padre Panebianco dell’Ordine dei Francescani, che in seguito diventerà eminentissimo cardinale di Santa Madre Chiesa, apprezzandone l’ingegno volle fargli da maestro. Da lui il Labiso fu indirizzato agli studi della Matematica in cui dimostrò una versatilità eccezionale e, per completarli, frequentò l’Università di Palermo nella facoltà d’Ingegneria. In quel periodo grandi avvenimenti politici si stavano maturando e l’alba del 12 gennaio del 1848 trovò il nostro Emanuele, ancora laureando, pieno di entusiasmo e pronto ad offrire la sua opera a servizio della Patria, prima come milite della Guardia Nazionale e poi come tenente nel Corpo del Genio Militare dell’Esercito Siciliano. I moti rivoluzionari siciliani portarono alla proclamazione di un "nuovo" Regno di Sicilia indipendente, che però sopravvisse fino al maggio del 1849, quando si completò la riconquista borbonica.

    Ristabilito il Regno delle Due Sicilie, Emanuele Labiso deluso e amareggiato abbandonò la lotta risorgimentale per riprendere gli studi universitari che completò nel 1850 conseguendo la laurea. Nello stesso anno si iscrisse ad un concorso, bandito a Napoli, per la nomina ad Ingegnere del Corpo Ponti e Strade, ma, per il suo passato antiborbonico, fu subito escluso. Due anni dopo, però, il suo impegno e la crescente notorietà nel campo professionale convinsero il Luogotenente Generale di Sicilia Carlo Filangieri a nominarlo ingegnere di quel Corpo. Con tale carica, sebbene ancora giovane, il Labiso realizzò diversi importanti progetti di strade e ponti da una capo all’altro dell’Isola. Nel 1864 venne nominato dal Consiglio Provinciale di Palermo ingegnere di Prima Classe. Un anno dopo, sempre per le sue qualità, gli venne conferito da re Vittorio Emanuele II il prestigioso titolo di Ingegnere del Corpo Reale del Genio Civile. Nel febbraio del 1867 il Comune di Palermo lo chiamò a dirigere il proprio ufficio tecnico.

    Gli incarichi affidatigli e gli onori ricevuti non fecero mai dimenticare al nostro cittadino la sua terra natia, e benchè carico di impegni, ebbe sempre il tempo di tornare a Terranova, dove, per conto dell’Amministrazione comunale, realizzò gratuitamente diversi progetti; si ricordano quelli della conduttura delle acque ed il capitolato dell’impianto di gas-luce. Eseguì, inoltre, il progetto della Villa comunale e quello della nuova pavimentazione della chiesa Madre.

    Oltre a Palermo, operò per molti anni anche a Cefalù, dove progettò numerosi lavori; si ricordano quelli di restauro dei mosaici dell’abside della cattedrale, del Teatro comunale e della piazza municipale, nonchè i monumenti al Barone Mandralisca e al patriota Salvatore Spinuzza, rispettivamente nelle chiese del Purgatorio e della Mercede. Il Labiso fu anche consigliere comunale dal 1869 al 1874 e Soprintendente Scolastico dello stesso capoluogo. Durante la sua permanenza a Cefalù gli nacque nel 1864 Luigi Filippo divenuto poi scultore di fama regionale.

    A Palermo, nella notte del 12 aprile del 1893, affetto da tempo di una grave malattia cardiaca, il Labiso fu rapito all’affetto della famiglia. Nel discorso necrologico il nostro concittadino Giuseppe Di Menza, Presidente della Corte d’Appello di Palermo, tra l’altro disse: ”. . . visse di lavoro e di lavoro fu logoro, ma se il lavoro logora il corpo, nobilita però l’animo e lo sostiene contro la natura inesorabile e contro le crudeli vicende della sorte degli uomini”.

    Esistendo a Palermo, nel quartiere Cruillas una via dedicata a Emanuele Labiso e a Gela soltanto un vico col solo cognome di Labiso nel quartiere Spirone, sarebbe opportuno almeno aggiungere alla targa il titolo di ingegnere e il nome di Emanuele.

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