Beni culturali di Gela
FORTIFICAZIONI GRECHE
Fino al 1948 la zona di contrada Scavone era ricoperta, nella sua estremità sud-orientale, da un’enorme massa di dune mobili, alcune delle quali alte fino a dodici metri; sotto queste dune giaceva sepolto da più di duemila anni uno dei monumenti più importanti dell’antichità classica, un lungo tratto delle mura greche di Gela, riemerse dopo tanti secoli in uno splendido stato di conservazione.
Per portare alla luce queste fortificazioni fu necessario operare uno sbancamento di più di duecentomila metri cubi di sabbia. Le mura rappresentano l’estremità occidentale di una linea difensiva che forse, in origine, girava probabilmente intorno a tutta la collina ove sorgeva la città di Gela; la cerchia muraria probabilmente fu distrutta nel 282 a.C. e smantellata poi in epoca medievale. Solo questo tratto di Scavone, rimasto sepolto nella sabbia, si salvò miracolosamente fino ai nostri giorni. Alcuni studiosi hanno datato queste mura nella seconda metà del IV sec. a.C. e, quindi, secondo alcune fonti storiche si tratterebbe della cinta muraria fatta edificare da Timoleonte durante la ricolonizzazione di Gela del 339 a.C.; non é detto, però, che tale cinta muraria, nella sua parte inferiore di conci lapidei, non possa essere più antica.
Queste fortificazioni presentano una tecnica costruttiva molto in uso nel mondo antico, definita come "tecnica mista" e cioé blocchi di calcare perfettamente squadrati nella parte inferiore e mattoni quadrati d’argilla cruda seccata all’aria nella parte superiore; certamente più importante, dunque, risulta il muro superiore di formelle d’argilla cruda, anche se muri di mattoni crudi nell’antichità furono costruiti un po’ ovunque; in Iraq come in Egitto, in Grecia come in Italia, dove, in particolare, non può che citarsi qualche tratto delle fortificazioni etrusche di Arezzo. Quelle di Gela le superano di molto, soprattutto per la freschezza della conservazione. Non si esagera, dunque, nell’affermare che rappresentano un unicum nell’archeologia mediterranea.
Le mura, dello spessore di m.2,80, nella parte inferiore sono costituite da due paramenti di blocchi, a tratti concatenati fra loro, con riempimento di mattoni di argilla e di terra mista a pietre; la presenza dei mattoni di argilla, delle dimensioni di 40 cm. per lato, e la necessità di conservare nel tempo un monumento di tali rarità ed interesse, rese necessaria subito dopo lo scavo una complessa opera di protezione che vide la parte più delicata del muro serrata fra lastre di vetro temperato collegate a loro volta da tiranti in alluminio che attraversano lo spessore dello stesso muro; il tutto per evitare che le variazioni climatiche e le condizioni atmosferiche avverse potessero lesionare e deteriorare fino al crollo la massa di mattoni crudi; però, questo tipo di protezione nel corso degli anni, privato irresponsabilmente della periodica manutenzione, si é dimostrato poco efficace, e, pertanto, recentemente il muro in mattoni crudi é stato liberato dalle lastre di vetro, peraltro responsabili del deleterio effetto serra, e sottoposto ad un’opera di delicato restauro.
Le fortificazioni di Scavone, lunghe complessivamente 350 metri con il punto più alto che arriva fino a 8 metri, furono costruite in diversi periodi in relazione ad eventi storici e, in massima parte, al movimento stesso delle dune di sabbia che lentamente andavano ricoprendo livelli sempre più alti della fortificazione.
Entrando nel sito archeologico, recentemente elevato a Parco dalla Regione, dopo una sommaria descrizione delle mura posta in un cartello all’ingresso, si osserva tutta la parte posteriore del muro dove é possibile intravvedere in lontananza, la scala d’accesso al cammino di ronda; proseguendo verso sud e girando attorno alle fortificazioni si passa lungo un muro provvisto di contrafforti che si stacca dalla linea principale della stessa fortificazione; questo muro a speroni é fondato sulla sabbia tre metri più sopra rispetto al piano di fondazione del complesso fortificato; girando all’estremità di tale sperone si ha subito la visione dell’imponente costruzione. Ma prima di scendere le scale per avviarsi a ridosso delle mura, si continui un po’ più avanti per visitare prima il piccolo Museo iconografico delle Mura di Caposoprano e poi per ammirare lo splendido e suggestivo panorama che si presenta dall’attigua piazzetta.
Proseguendo verso ovest sulla linea delle mura si possono osservare a livello del piano di campagna dei canaletti di scolo dell’acqua, mentre procedendo più avanti si arriva all’angolo del muro, al riparo del quale si apre una postierla con arco a sesto acuto chiusa da mattoni crudi; accanto ad essa e davanti la linea di fortificazione esiste un basamento in pietrame ascrivibile ad una torretta in mattoni crudi. Circa altri dieci metri più avanti, dove la fortificazione é ridotta al piano di calpestio, é possibile girare dietro il muro (dove si noti lo spaccato del suo spessore con riempimento di mattoni di argilla e di terra mista a pietre) per raggiungere sia l’apertura posteriore della suddetta postierla sia una delle scale, a cui prima si accennava, che permettevano l’accesso al cammino di ronda.
Tornando indietro, si può riprendere la linea di fortificazione che si piega leggermente verso sud-ovest riducendosi poi alle sole fondazioni; fu, infatti, proprio in questa parte del muro che nel medioevo si ebbe il maggiore smantellamento di pietra. Superato questo tratto si arriva al lato ovest della fortificazione dove si osserva un’altra interessante struttura costituita dalla testata occidentale del muro. Essa, in origine, alla sua estremità possedeva due torri (cui rimangono alcune tracce sotto la sabbia e i cui contorni sono stati ricostruiti in mattonelle rosse), che difendevano una porta rettangolare che si apre al centro; la porta é priva d’architrave e chiusa da blocchi di pietra. All’estremità di nord-ovest della testata, al posto dell’antica torre, si trova una struttura circolare in mattoni, forse una fornace di epoca medievale. Il lato nord della fortificazione risulta distrutto per circa cinquanta metri; seguono poi un tratto con alcuni filari di blocchi e i resti di una seconda scala e di un’altra porta d’ingresso alla città dove i conci lapidei del piano di calpestio contengono antichissime tracce di solchi di carri; da qui in poi, il muro si riduce alla sola fondazione per interrompersi poi definitivamente dopo qualche metro. Nell’area racchiusa tra le mura della fortificazione esistono ancora sepolte dalla sabbia tracce di edifici, con piccoli zoccoli in pietra e pareti in mattoni crudi, riferibili a caserme militari ed abitazioni del IV sec. a.C. Alcuni scavi, effettuati alla base della testata di nord-est delle fortificazioni, hanno evidenziato la continuazione delle fondazioni in direzione della città; quindi un ulteriore contributo all’ipotesi di una cinta muraria di più vaste dimensioni. Altri recenti scavi, effettuati ad est delle mura, hanno portato alla luce un complesso abitativo contemporaneo alla ricolonizzazione timoleontea.
Il 24 aprile 1997 l’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha emesso in tutto il territorio nazionale, per richiesta della sede di Gela dell’Archeoclub d’Italia, un francobollo del valore facciale di lire 750 raffigurante le fortificazioni greche di Caposoprano.
Finalmente dopo quattro decenni, grazie ai fondi
strutturali europei, la Soprintendenza di Caltanissetta ha provveduto a coprire
con una tensostruttura le fortificazioni greche di Capo Soprano, un unicum di
antica cinta muraria in tutto l’Occidente, che in tempi diversi ha subito
diverse vicissitudini col rischio di venir meno alle prerogative essenziali per
la sua salvaguardia e come primario bene culturale del nostro Bel Paese.
La copertura delle mura di Capo Soprano è un genere di costruzione relativamente
re-cente; la prima applicazione è comparsa a Melbourne nel 1958 per il Sidney
Myer Music Bowl con un tetto costituito da una membrana sorretta da una
tensostruttura. Questo con-cetto è stato in seguito evoluto dall'architetto
tedesco Frei Otto, che scelse questa tecnica per la costruzione del Padiglione
Tedesco alla Expo '67 e per lo Stadio Olimpico di Mona-co di Baviera per le
Olimpiadi del 1972. Il rapido progresso tecnico delle tensostrutture ha reso
molto popolare questa tecnica costruttiva. I materiali leggeri rendono la
costruzione molto semplice ed economica, soprattutto per la copertura di vaste
aree. Le più famose tensostrutture di recente costruzione sono il Millennium
Dome di Londra, il Pontiac Silver-dome, l'Aeroporto di Denver e l'Aeroporto
della Mecca.
Tecnologia e “know-how” nostrano sono gli elementi che contaddisinguono questa
no-stra struttura di ben quasi duemila metri quadri, realizzata da un’impresa
agrigentina su progetto dall’Ing. Fortunato Motta dell’Università di Catania con
la copertura in fibra di ve-tro preparata dalla Cannobio spa di Castelnuovo
Scrivia in provincia di Alessandria. Si trat-ta di una leggera copertura
modulare, ognuna a forma di sella, tutta in fibra di vetro e rive-stita sulla
superficie superiore da teflon, sostenuta da una serie di telai antisismici,
posti a circa 15 metri l’uno dall’altro, realizzati con profilati tubolari del
diametro di 40 cm in lega speciale, totalmente resistente alla corrosione degli
agenti atmosferici, denominata “cor-ten”, un acciaio quattro volte più
resistente rispetto a quello classico con carbonio per la presenza di rame e
cromo. La novità essenziale della copertura è quella di essere mante-nuta sotto
continua tensione grazie ad un sistema di tiranti metallici; infatti, per
realizzarne l’equlibrio aeroelastico, ogni singola “sella” della superficie di
copertura. è stata sottoposta a pretensione lungo i bordi liberi longitutlinali.
per garantirne la forma ed evitare il fenome-no di eccessivo "flutter" sotto
l'azione del vento.
Gli sforzi di pretensione nei lati lunghi delle suddette membrane sono stati
applicati me-diante cavi formati da trefoli in acciaio, adeguatamente protetti
contro la corrosione. che corrono in un piccolo risvolto sui bordi delle
membrane stesse. I telai terminali della suc-cessione predetta e quelli posti in
corripondenza dei punti angolosi nel suo sviluppo plani-metrico sono stati
controventati mediante l'applicazione in ciascuno di tiranti inclinati in
ac-ciaio, ancorati al suolo.
Un’altra caratteristica innovativa importante è rappresentata dalla pellicola
autopulente in teflon che ricopre la parte superiore della copertura; sfruttando
l’azione fotovoltaica di questa pellicola, attivata dai raggi UU.VV. del sole,
infatti, il materiale organico che si de-posita sulla copertura viene degradato
e grazie alla idrofilia della stessa superficie è dila-vato dall’acqua meteorica
senza lasciare tracce.
Sembra quindi tutto a posto per una ottimale fruizione di questo importante bene
cultra-le se non fosse per i visitatori dei quali non si vede nemmeno l’ombra,
stessa cosa per il museo archeologico. Ma in verità anche per tutti i beni
culturali della provincia di Caltanis-setta la quale purtroppo detiene il
primato negativo del flusso turistico in Sicilia senza che gli enti locali
interessati, Soprintendenza compresa, si inventino qualcosa per invertire questo
deplorevole andazzo.
Bisogna dare atto alla Soprintendenza dell'interesse dimostrato nei confronti di questo sito archeologico, in particolare per la realizzazione della nuova copertura, anche se quest'area risulta poco attenzionata. Le telecamere e la videosorveglianza sono fasulle e immaginarie. Ancora due vaste areee a nord e ad est delle fortificazioni aspettano fin dal 1950 di essere scavate ma con l'andazzo che c'è oggi si ha l'impressione che bisogna aspettare la generazione dei nostri nipoti, nella speranza che sia più interessata rispetto alla nostra e a quella dei nostri figli.
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