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Vasi attici di Gela nel mondo

    L’interesse sulla ricerca di musei e collezioni private, che detengono reperti archeologici di Gela, vasi greci in particolare, trafugati nel corso degli ultimi 150 anni, ha da sempre coinvolto studiosi e cultori di patrie memorie i quali hanno tentato con alterne vicende di censire questo prezioso ed enorme patrimonio.

    Interessante sotto questo aspetto è una pubblicazione di Paolo Orsi (Gela, scavi del 1900-1905, Roma 1906) sugli scavi archeologici, condotti dallo stesso nel nostro territorio nel primo quinquennio del 1900, che, oltre a rappresentare un vero e proprio diario di scavi con la descrizione dei reperti venuti alla luce, ci fornisce alcune notizie interessanti sul loro trafugamento perpetrato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Così, tra l’altro, si legge dell’esistenza di diversi possidenti locali come Mallia, Russo, Aldisio, Campolo, Nocera, Navarra, Lauricella, Calandra, Ruggeri, Aldisio Sammito, ecc., che riuscirono a collezionare una cospicua quantità di vasi greci, e non solo, che in buona parte vendettero a diversi musei esteri e a collezionisti privati. Si trovano notizie anche sul console britannico di stanza a Palermo, che, venuto a Gela assieme alla moglie, si appropriò di una cospicua quantità di preziosi reperti archeologici che fece trasferìre in Inghilterra.

    Un destino amaro quello dei vasi greci trafugati a Gela che purtroppo è continuato a perpetuarsi anche in tempi recenti, contribuendo a depauperare significativamente il nostro patrimonio archeologico.

    L’idea di realizzare un repertorio di vasi che in tempi diversi sono stati ritrovati nel territorio di Gela e che sono stati trasferiti in altre sedi comprese quelle dei musei di Siracusa, Palermo ed Agrigento, ha avuto un primo contributo durante una mostra iconografica, organizzata dalla sede locale dell’Archeoclub d’Italia, realizzata nell’aprile del 1997 nei locali degli Ex Granai del Palazzo Ducale in occasione della riapertura del Museo Archeologico di Gela. In quella occasione l’Archeoclub presentò, tra l’altro, i risultati di una ricerca con il censimento di una cinquantina di vasi greci provenienti da Gela ubicati in diversi musei americani, inglesi e tedeschi ma anche siciliani come quello di Siracusa.

    Un notevole e prezioso contributo al censimento di questo patrimonio, recentemente lo ha dato il Prof. Filippo Giudice, docente ordinario di Archeologia Classica presso l’Università degli Studi di Catania, con la presentazione sul libro Ta Attika di quasi un migliaio di schede relative ad altrettanti vasi conservati sia nei musei esteri che in quelli siciliani, museo regionale di Gela compreso. Però, nonostante il cospicuo numero di questi vasi censiti, in stragrande maggioranza in musei pubblici, l’elenco non è esaustivo e probabilmente non lo sarà mai, non fosse altro per la presenza di numerose collezioni private esistenti nel mondo e di cui spesso si conosce poco e niente, ma anche per il deprecabile fatto che spesso diversi musei, forse dolosamente, non riportano il luogo di provenienza. Un altro contributo sui vasi trafugati a Gela, soprattutto a scopo divulgativo, è stato dato da una mostra iconografica permanente realizzata nel dicembre del 2007 dall’Archeoclub locale in collaborazione col Museo Archeologico Regionale di Gela. Frutto di una laboriosa ricerca e di una progettazione grafica effettuate dallo scrivente, sono stati presentati una settantina di pannelli con oltre un centinaio di vasi, in stragrande maggioranza attici, reperiti soprattutto attraverso Internet con una meticolosa ricognizione che ha scandagliato centinaia e centinaia di siti web, in particolare quelli dell’Archivio Beazley di Oxford, del Perseus Project della Tufts University di Boston e del Museum of Fine Arts di Boston. Sono stati inoltre consultati, sempre tramite Internet, diverse decine di Corpus Vasorum Antiquorum, prestigiosa pubblicazione internazionale della Union Academique Internazionale, da cui sono stati attinti i dati più significativi che compaiono nelle didascalie dei vasi.

    I pannelli della mostra, per scelta del direttore del museo Arch. Salvatore Gueli, rimarranno a corredo dell’esposizione museale, così da contribuire, anche se in modo virtuale e senza confini geografici, all’”impinguamento” del patrimonio archeologico del nostro territorio, i cui vasi sono ambasciatori di Gela nel mondo.

    La segreta speranza è quella di attirare e tenere sempre viva l’attenzione sul bene culturale da parte soprattutto dei giovani e di contribuire a valorizzare al massimo questo nostro museo che accoglie numerose e preziose testimonianze della storia di Gela e della sua civiltà, un tempo primaria nel Mediterraneo.

    Nella presentazione dei vasi di questa pubblicazione si è pensato di aggiungere anche le immagini inedite di una collezione privata di piccoli vasi, quella di Salvatore Nocera legalmente detenuta, di un cratere a calice, anch’esso di proprietà privata legalmente el territorio di Gela e che sono stati trasferiti in altre sedi comprese quelle dei musei di Siracusa, Palermo e Agrigento, ha avuto un primo contributo durante una mostra iconografica, organizzata dalla sede locale  dell’Archeoclub d’Italia, realizzata nell’aprile del 1997 nei locali degli Ex Granai del Palazzo Ducale in occasione della riapertura del Museo Archeologico di Gela. In quella occasione l’Archeoclub presentò, tra l’altro, i risultati di una ricerca con il censimento di una cinquantina di vasi greci provenienti da Gela ubicati in diversi musei americani, inglesi e tedeschi ma anche siciliani come quello di Siracusa.

    Un notevole e prezioso contributo al censimento di questo patrimonio, recentemente lo ha dato il Prof. Filippo Giudice, docente ordinario di Archeologia Classica presso l’Università degli Studi di Catania, con la presentazione sul libro Ta Attika di quasi un migliaio di schede relative ad altrettanti vasi conservati sia nei musei esteri che in quelli siciliani, museo regionale di Gela compreso. Però, nonostante il cospicuo numero di questi vasi censiti, in stragrande maggioranza in musei pubblici, l’elenco non è esaustivo e probabilmente non lo sarà mai, non fosse altro per la presenza di numerose collezioni private esistenti nel mondo e di cui spesso si conosce poco e niente, ma anche per il deprecabile fatto che spesso diversi musei, forse dolosamente, non riportano il luogo di provenienza. Un altro contributo sui vasi tarfugati a Gela, soprattutto a scopo divulgativo, è stato dato da una mostra iconografica permanente realizzata nel dicembre del 2007 dall’Archeoclub locale in collaborazione col Museo Archeologico Regionale di Gela. Frutto di una laboriosa ricerca e di una progettazione grafica effettuate dallo scrivente, sono stati presentati una settantina di pannelli con oltre un centinaio di vasi, in stragrande maggioranza attici, reperiti soprattutto attraverso Internet con una meticolosa ricognizione che ha scandagliato centinaia e centinaia di siti web, in particolare quelli dell’Archivio Beazley di Oxford, del Perseus Project della Tufts University di Boston e del Museum of Fine Arts di Boston. Sono stati inoltre consultati, sempre tramite Internet, diverse decine di Corpus Vasorum Antiquorum, prestigiosa pubblicazione internazionale della Union Academique Internazionale, da cui sono stati attinti i dati più significativi che compaiono nelle didascalie dei vasi.

    I pannelli della mostra, per scelta del direttore del museo Arch. Salvatore Gueli, rimarranno a corredo dell’esposizione museale, così da contribuire, anche se in modo virtuale e senza confini geografici, all’”impinguamento” del patrimonio archeologico del nostro territorio, i cui vasi sono ambasciatori di Gela nel mondo.

    La segreta speranza è quella di attirare e tenere sempre viva l’attenzione sul bene culturale da parte soprattutto dei giovani e di contribuire a valorizzare al massimo questo nostro museo che accoglie numerose e preziose testimonianze della storia di Gela e della sua civiltà, un tempo primaria nel Mediterraneo.

    Nella presentazione dei vasi di questa pubblicazione si è pensato di aggiungere anche le immagini inedite di una collezione privata di piccoli vasi, quella di Salvatore Nocera legalmente detenuta, di un cratere a calice, anch’esso di proprietà privata legalmente detenuto, e di una pelike attica a figure rosse del Pittore dei Niobidi che fino al febbraio del 1973, prima di essere rubata, era custodita nell’abitazione della signora Marisella Aldisio. Il vaso rubato, per vie traverse, finì in un primo tempo nel museo tedesco di Wurzburg, dove fu esposto fino al 1989, per poi perdersene le tracce; oggi, dopo la denuncia dello scrivente al nucleo dei Carabinieri di Palermo per la tutela dei beni culturali, si sta cercando di rintracciare il luogo dove è detenuto il vaso: è probabile che si possa trovare a Basilea, presso la fondazione “Nereus” di un magnate giapponese. Si spera di rintracciarlo per attivare una rogatoria internazionale per la restituzione al legittimo proprietario.

    Recentemente in continuazione alla ricerca effettuata per realizzare la mostra suddetta al Museo di Gela, lo scrivente ha individuato un buon centinaio di vasi attici di Gela ancora probabilmente non censiti di cui si troverà menzione in questa pubblicazione.

 

Gela, storia e numeri di una colossale “rapina”

    Paolo Orsi (1859-1935), direttore del Regio Museo Archeologico di Siracusa, durante fa campagna di scavi effettuata tra il 1900 e il 1905 nel territorio urbano e nelle campagne di Gela (allora Terranova) fece portare alla luce migliaia e migliaia di reperti archeologici che, sottratti al patrimonio archeologico di Gela (definita dallo stesso Orsi "La città della creta"), furono impunemente trasferiti nel Museo di Siracusa. Non siamo riusciti a conoscere il numero complessivo di tali reperti, nonostante una richiesta in tal senso avanzata dall’Archeoclub locale allo stesso Museo diversi lustri fa, richiesta peraltro rimasta inevasa. In linea di massima, però, leggendo e rileggendo la pubblicazione dei suddetti scavi realizzata dall'Orsi, si può avere idea del depauperamento archeologico effettuato ai danni del patrimonio archeologico di Gela. Infatti, analizzando i reperti archeologici descritti nel libro da Orsi nelle 786 sepolture messe in luce nelle necropoli del Borgo (a nord della Villa Comunale) ed in altre zone del territorio urbano (sepolture relative ai secoli VII, VI e V a.C.), abbiamo ricavato un totale di 1.798 oggetti di vasellame recuperati tutti integralmente; nel computo non sono presi in considerazione i vari tesoretti di monete trovati sporadicamente e gli oggetti di bronzo. Per quanto riguarda invece i frammenti (molti con figure e iscrizioni) non ricomponibili, con un calcolo approssimativo siamo arrivati ad un numero orientativo di circa 6.000. Se poi ai suddetti numeri si aggiungono quelli degli altri reperti archeologici venuti alla luce in poderi privati, nelle zone periferiche di Bitalemi, Caposoprano, Costa Zampogna, Molino a Vento, ecc. e nella circostante campagna (sempre riferiti agli scavi del 1900-1906), si arriva a qualcosa come settemila od ottomila reperti archeologici e alla strabiliante cifra di circa trentamila frammenti non ricomponibili. Oggi tutti questi reperti si trovano nel museo di Siracusa e di essi è esposta solo una piccolissima parte "La città della creta"), furono impunemente trasferiti nel Museo di Siracusa. Non siamo riusciti a conoscere il numero complessivo di tali reperti, nonostante una richiesta in tal senso avanzata dall’Archeoclub locale allo stesso Museo diversi lustri fa, richiesta peraltro rimasta inevasa. In linea di massima, però, leggendo e rileggendo la pubblicazione dei suddetti scavi realizzata dall'Orsi, si può avere idea del depauperamento archeologico effettuato ai danni del patrimonio archeologico di Gela. Infatti, analizzando i reperti archeologici descritti nel libro da Orsi nelle 786 sepolture messe in luce nelle necropoli del Borgo (a nord della Villa Comunale) ed in altre zone del territorio urbano (sepolture relative ai secoli VII, VI e V a.C.), abbiamo ricavato un totale di 1.798 oggetti di vasellame recuperati tutti integralmente; nel computo non sono presi in considerazione i vari tesoretti di monete trovati sporadicamente e gli oggetti di bronzo. Per quanto riguarda invece i frammenti (molti con figure e iscrizioni) non ricomponibili, con un calcolo approssimativo siamo arrivati ad un numero orientativo di circa 6.000. Se poi ai suddetti numeri si aggiungono quelli degli altri reperti archeologici venuti alla luce in poderi privati, nelle zone periferiche di Bitalemi, Caposoprano, Costa Zampogna, Molino a Vento, ecc. e nella circostante campagna (sempre riferiti agli scavi del 1900-1906), si arriva a qualcosa come settemila od ottomila reperti archeologici e alla strabiliante cifra di circa trentamila frammenti non ricomponibili. Oggi tutti questi reperti si trovano nel museo di Siracusa e di essi è esposta solo una piccolissima parte, mentre la loro stragrande maggioranza si trova depositata negli scantinati da ben cento anni. La tipologia dei reperti rinvenuti negli scavi di Gela si riferisce in buona parte a lekythoi, anfore, crateri, arybalhi, bombylioi, oinochoai, hydriai, skyphoi, kylikes, alabastra, pyxides, holpai, dolia, oscilla, stamnoi, phitoi, dischi, patere, scodelle, tazzine, contrappesi, ecc. Ai suddetti numeri non si vogliono aggiungere i reperti archeologici che si trovano ufficialmente nei musei di Palermo (compreso quello della Fondazione Mormino del Banco di Sicilia), Agrigento, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Milano, Londra, Oxford, Berlino, New York, Boston, Cambridge, Baìtìmora, Tampa, Yale, Rhode Island, Basilea, Stoccarda, Vienna, Hamburgo, Zurìgo, ecc. Ovviamente se poi si considera il grande numero dei reperti archeologici di vasellame e di monete trafugati clandestinamente dal 1860 fino ai nostri giorni (non dimentichiamo che Gela rappresenta una delle piazze illegali più importanti del mondo), allora veramente si può affermare che Gela e i Gelesi hanno subito una delle più colossali “rapine” che la storia recente ricordi.

 

I NUMERI DI UN COLOSSALE TRASFERIMENTO

DI REPERTI ARCHEOLOGICI

DA GELA AL MUSEO DI SIRACUSA

Reperti provenienti dalle necropoli del Borgo (VII-VI sec. a. C.):

Zone

Via Pecorari (oggi Via B. Bonanno)

Via Buscemi

Via Granvillano

Via Martorana

Via Smecca

Via salerno

Via Di Bartolo

Quartiere Cappuccini

Via Cubba (oggi Via Sammito)

Necropoli poderi: La Paglia, Camarella

Piazza S. Giacomo

Via Bentivegna

Villa Garibaldi

Vallone Pasqualello

Via Bonura (oggi Via F.lli Bandiera)

Tipologia e numero dei reperti

Lekythoi di varia grandezza n.140

Anfore di v. g. n.169

Bombylioi n.60

Skyphoi n.65

Aryballoi n.122

Alabastra n.20

Kylikes n.23

Stamnoi n.19

Pithoi (otri, dolii e giarre) n.35

Hydriai n.12

Holpai n. 8

Oinochoai n. 5

Patere n.5

Pissidi n.18

Vasetti: diverse centinaia

Frammenti: diverse migliaia

Reperti provenienti dalle necropoli di Caposoprano (V sec. a. C.):

Zone

Sepolcreti del Cimitero

Poderi:

Salvatore Aldisio-Cartia

Francesco Salerno

Lauricella

Prof. Vincenzo Maugeri

F.lli Angelo e Fortunato Di Bartolo

Salerno

Vincenzo Leopardi

Filippo Rosso-Russo

Catalano e Tascone

Emanuele Jozza

Saverio Bentivegna detto Canonizzo

 Tipologia e numero dei reperti

Lekythoi di varia grandezza n.160

Anfore di v. g. n.57

Skyphoi n.29

Aryballoi n.2

Alabastra n.28

Kylikes n.12

Stamnoi n.4

Hydriai n.7

Holpai n.5

Crateri n.6

Pelikai n.6

Lucerne n.16

Vasetti: diverse decine

Frammenti: diverse centinaia

 Scavi vari

Calvario e Molino a Vento

Bitalemi

Campagna e suburbio

Vasi di tutti i tipi a centinaia

Coltelli in ferro

Pietre da macina

Statuette a centinaia

Coperchi di pissidi numerosi

Terrecotte architettoniche numerose

Bolli fittili

Piatti a centinaia

Patelle numerose

Vetro e porcellane

Frammenti di statue numerosi

Dischi figurati a centinaia

Vasi a forma di animali numerosi

Maschere muliebri

Contrappesi da telaio a centinaia

Fuseruole

Monete

Oscilla a centinaia

Framm. importanti: diverse centinaia

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