ANTONINO NOCERA

| 
								 
								
								
								IL CAVALIERE DI GRAN CROCE DELLA CORONA D’ITALIA 
								
								
								COMM. ANTONINO NOCERA 
								 
								  
								Il 24 maggio del 
								1930 moriva all’età di 80 anni il
								Cavaliere 
								di Gran Croce della Corona d’Italia Antonino 
								Nocera, uno dei concittadini più importanti 
								degli ultimi cento anni. Forse ripercorrere un 
								po’ la sua vita ci può facilitare il tentativo 
								di capire chi era realmente quest’uomo che, per 
								più di un cinquantennio, rappresentò un punto di 
								riferimento per la vita economica, politica e 
								sociale di Gela, e non solo.  
								   
								Antonino Nocera 
								nacque il 20 agosto 1850 da famiglia benestante. 
								Ancora giovane, in seguito alla salute 
								cagionevole del padre, dovette abbandonare gli 
								studi per occuparsi dell’azienda agricola che 
								rimise in sesto in pochi anni grazie al suo 
								impegno, alla sua passione e, soprattutto, alla 
								sua viva intelligenza. Nel 1876 entrò a far 
								parte dell’elite 
								della società terranovese, grazie al matrimonio 
								contratto con la nobil donna Clorinda Aliotta 
								Mallia, pronipote di Don Alessandro Mallia 
								barone di 
								Sabuci. Due anni dopo, “animato 
								da un sentimento alto di Patria”, il Nocera 
								partecipò alla vita pubblica; eletto consigliere 
								comunale per “volontà 
								di popolo” vi rimase senza interruzione fino 
								al 1904. Fu sindaco della città per diversi 
								anni: prima nel 1883, poi dal 1896 al 1898 e 
								ancora dal 1899 al 1903. Fece parte, inoltre, 
								dal 1882 al 1914, del Consiglio Provinciale per 
								diventarne poi presidente. Fu membro di diversi 
								organismi oltre che Console di diversi stati 
								latinoamericani. Ma la carica più significativa 
								fu quella di rappresentante della Provincia nel 
								Consiglio Generale di Amministrazione del Banco 
								di Sicilia. 
								   
								Da un opuscolo del 
								1926, dal titolo “Charitas”, 
								a lui dedicato da diversi amici, si apprendono 
								molte notizie sul suo operato come quella, ad 
								esempio, che quando nelle nostre campagne 
								imperversavano rigide condizioni climatiche e la 
								pioggia allagava tutto, per cui risultava 
								impossibile a molti contadini e braccianti la 
								ripresa del lavoro, il Nocera, per alleviare le 
								loro condizioni di precarietà, istituiva a sue 
								spese i cosiddetti 
								“quararuna”, 
								grandi pentole dislocate nelle piazze di diversi 
								quartieri della città in ognuna delle quali si 
								cuocevano circa cento chili di pasta (‘u 
								italeddu) con legumi e le cui porzioni 
								venivano offerte gratuitamente alla popolazione. 
								E ancora: durante la prima guerra mondiale anche 
								lui 
								“...si trova al suo posto di combattimento. Le 
								porte della casa sua sono aperte in ogni ora del 
								giorno; egli è segretario de le famiglie, egli 
								consiglia, egli incoraggia, egli lenisce mille 
								dolori, egli diviene il conforto de le madri e 
								de le spose, il padre dei soldati...”. 
								Nell’arco di due anni, inoltre, Nocera elargì 
								diverse cospicue somme: 100 mila lire alla 
								sottoscrizione nazionale per l’estinzione del 
								debito italiano verso l’America, 150 mila lire 
								al Civico Ospedale della città per l’istituzione 
								di un tubercolosaio e, ancora, 50 mila lire “all’Orfanotrofio 
								Regina Margherita” per farvi ammettere un 
								maggior numero di orfanelle. Tali cospicue 
								elargizioni non passarono inosservate tant’è che 
								allora ebbero vasta eco sia sulla stampa 
								regionale sia in quella nazionale: il “Popolo 
								di Roma”, ad esempio, scrisse:”...noi, 
								vivamente, commossi, sentiamo il dovere di 
								additarlo all’ammirazione degli Italiani”. 
								Ma il maggior riconoscimento Antonino Nocera lo 
								ricevette il 20 marzo del 1926 dal Governo su 
								deliberazione del Consiglio dei Ministri, quello 
								di 
								Cavaliere di Gran Croce della Corona d’Italia, 
								la più alta benemerenza cavalleresca di Casa 
								Savoia istituita da Vittorio Emanuele II nel 
								1868. 
								   
								A una prima 
								riflessione si è tentati a credere che il Nocera 
								sia stato veramente un grand’uomo, un 
								benefattore, un patriota e alcune frasi che si 
								leggono nel suddetto opuscolo “Charitas” 
								come: “maestro 
								di se stesso”, “persona 
								d’ingegno agile ed eletto”, “cuore 
								plasmato a virtù” e così via, lo 
								confermerebbero. Però, alcune testimonianze che 
								abbiamo raccolto e che riferiremo, inducono a 
								convincerci del fatto che forse la realtà 
								potrebbe essere un po’ diversa. Una 
								testimonianza di diversi anni fa fornitaci da un 
								agricoltore novantenne, un tempo dipendente del 
								Nocera, si riferisce a un “libro 
								mastro” che il Gran Croce avrebbe tenuto per 
								annotare i nomi dei suoi numerosi debitori, i 
								quali nel momento in cui non riuscivano a 
								restituire il danaro rischiavano di vedersi 
								sequestrare le loro proprietà.  
								   
								Non è facile, 
								infine, dare una spiegazione sulla considerevole 
								elargizione di 250 mila lire di allora, 
								corrispondenti a diversi milioni di euro 
								odierni. Forse il Nocera arrivato a tarda età e 
								sentendosi prossimo a concludere la propria 
								esistenza, si convinse della futilità della vita 
								nonostante l’enorme ricchezza accumulata, 
								futilità sottolineata maggiormente dalla morte 
								immatura della figlia Rosalia (sposa del 
								marchese Tedeschi di Pozzallo). Del resto il 
								modo migliore di far “fruttare” i quattrini dopo 
								la sua morte, poteva essere ad esempio quello di 
								elargirli in beneficenza, il che, certamente, 
								avrebbe tramandato ai posteri il suo nome e la 
								sua fama. E se veramente egli si prefisse il 
								raggiungimento di tale traguardo, dobbiamo 
								concludere che c’è riuscito pienamente.  |