Beni culturali di Gela

 il Palazzo Aldisio-Mallia

 

 

     Nel cuore del centro storico di Gela, ad un centinaio di metri dalla Chiesa Madre, esiste un importante edificio risalente al XVIII secolo, il palazzo Aldisio-Mallia, nel cui interno si trova uno dei più bei complessi artistici d’epoca di Gela e di tutto il suo comprensorio. Dall’esterno il palazzo presenta poche modanature, la maggior parte di esse, infatti, sono state eliminate da interventi precedenti, ma già varcando la porta d’ingresso che fa accedere alle sue stanze del primo piano si comincia a respirare un’aria d’altri tempi, complici l’arredamento, le suppellettili e gli affreschi dei soffitti che ci riportano ai fasti delle famiglie nobili dei secoli trascorsi. Ogni parte delle stanze, dal pavimento al soffitto, è degna di un’opera d’arte, il tutto da definire come un gioiello del nostro patrimonio artistico che miracolosamente si è salvato dall’usura del tempo.

    Diverse volte negli anni precedenti, purtroppo senza risultato, si è cercato di far interessare l’ente locale, Comune di Gela e Regione, ad un eventuale acquisto, in modo tale da sgravare la proprietaria Sig.ra Marisella Aldisio di tutti quei numerosi e pesanti oneri che ne realizzano il mantenimento e che comportano periodicamente spese di ingenti somme di denaro per i restauri conservativi; si sta veramente correndo il rischio di vedere compromesso questo interessante complesso artistico così come è accaduto qualche lustro fa al  palazzo Tedeschi, in cui si sono perduti per sempre affreschi e arredamenti ottocenteschi di valore, e ancora prima ad altri antichi palazzi nobiliari.

    Non è semplice, soprattutto sotto l’aspetto economico ma anche nel trovare valide maestranze, salvaguardare i pregevoli affreschi ornamentali di squisita sensibilità cromatica delle volte dei saloni, così come le delicate carte da parati dipinte mirabilmente a mano e le coperture in foglie di oro zecchino degli infissi, per non parlare dei tendaggi di porte e balconi, delle tappezzerie in broccato di divani e poltrone, degli stucchi decorativi, dei laccati delle console e delle specchiere e dei lampadari in vetro di Murano.

    Fino ad oggi le stanze più importanti del palazzo sono state fruibili solo occasionalmente; negli anni, infatti, si sono effettuate mostre di pittura, conferenze, visite e riunioni ma anche diverse feste che in questa cornice settecentesca hanno spesso rappresentato una rivisitazione di vita aristocratica gelese dei tempi lontani.

    Questo edificio dunque, ancora intatto nella maggior parte delle sue stanze, deve necessariamente mantenersi nel tempo, così come si trova oggi. E per soddisfare questa legittima speranza occorre immediatamente l’intervento dell’Ente Locale che, attraverso un adeguato finanziamento, faccia evitare l’inesorabile e lento degrado di questo notevole bene culturale. Sarebbe ora che si cambiasse registro per evitare un ulteriore depauperamento di beni culturali alla nostra comunità che oggi, più che mai, chiede un ritorno ai quei valori che stanno alla base del futuro di una società e della sua civiltà. Non si può fare a meno e non ci si può sottrarre di assolvere a questo precipuo compito.  Nuccio Mulè

              Introduzione

     La visita dei locali settecenteschi del palazzo nobiliare Aldisio-Mallia di Gela, effettuata qualche lustro fa da alcuni studenti, laureandi in architettura a Firenze e in Ingegneria a Palermo, ha indotto gli stessi a sceglierlo come tema delle loro tesi di laurea, tesi che oggi sono servite come fonte di riferimento per la realizzazione della presente pubblicazione. Lavoro faticoso allora per i laureandi, data l’assenza totale di fonti bibliografiche sull’edificio, lavoro di sintesi non semplice nell’ottica di ricavare un opuscolo di facile fruizione.

    Da una serie di notizie riferitemi dai miei genitori tempo fa, la costruzione di questo palazzo dovrebbe risalire alla seconda metà del Settecento, tra il 1680 e la fine del 1700, anche se l’edificio, sicuramente di tutto altro aspetto, originariamente faceva parte di un complesso edilizio secentesco costituito da un Conservatorio di orfani, una chiesa, quella di S. Corrado (le cui vestigia sono tuttora visibili all’angolo tra il Corso e Via Marconi, anticamente Via Conservatorio) e una torre campanaria, prospiciente il Vico Mallia a nord, di cui si è conservata una buona parte.

     Da quando è stato costruito questo palazzo, il suo mantenimento ha rappresentato sempre un grosso problema sia per la conservazione delle opere d’arte, in particolare per il costo smisurato delle maestranze, sia per la stabilità della sua struttura, in particolare i soffitti e le volte reali su cui si è intervenuti molto cautamente per non rovinare i bei affreschi decorativi e le pavimentazioni a rilievo. Penso, ad esempio, che difficilmente il profano possa immaginare la spesa sostenuta per ripristinare un grandissimo lampadario in vetro di Murano con 42 punti luce, ricco di bellissime decorazioni, risalente al 1730 o quella per restaurare gli affreschi delle volte a cui si è arrivati con il montaggio di un ponteggio alto più di 12 metri, oppure ancora l’altra spesa per rimettere a nuovo un pianoforte a coda, un Pleyel francese, del 1849. Non è peregrino affermare che quasi tutti i proventi della mia famiglia sono stati impiegati costantemente per mantenere dignitoso lo stato di conservazione del palazzo e dei suoi interni senza che mai l’Ente Locale e la Soprintendenza, nonostante diverse richieste, abbiano concorso economicamente: come se questo bene culturale non costituisse un patrimonio artistico di valore della nostra città.

    Purtroppo, reputo che fra qualche decennio, visti i costi sempre più elevati dei restauri conservativi, gli interni di questo mio complesso edilizio cominceranno seriamente a patire l’usura del tempo e inesorabilmente il palazzo Aldisio-Mallia sarà cancellato dal patrimonio artistico di Gela. Di esso, forse, grazie a questa pubblicazione, rimarrà solo il ricordo.

    Marisella Aldisio.

 Origini del casato Aldisio-Mallia

     Il casato Aldisio-Mallia è un titolo nobiliare allodiale, legato cioè alla proprietà e non soggetto ad investitura. Il titolo fu concesso con il Predicato di S. Giuseppe a Francesco Palermo con privilegio datato 21 giugno 1638.

    Una figlia del Palermo, Francesca, andò in sposa ad Antonio Bruno. Da questa unione nacque Giuseppe che ereditò i titoli di Marchese di Torrealta e di Barone di S. Giuseppe. Egli sposò Allegranza Asaiti Bartolotta, figlia di Francesco Signore di Girbi, ma dal loro matrimonio, non essendo nato nessun erede, la proprietà passò per testamento ai Padri Gesuiti di Salemi. Carlo Bruno, fratello di Antonio e zio di Giuseppe, intentò causa riuscendo a recuperare parte dell’eredità; lo stesso successivamente conseguì i titoli di Barone di S. Giuseppe e Barone di Canalotti di S. Leonardo. Anche questi non ebbe figli, ma lasciò come erede il nipote Benedetto Emanuele Abrignano, figlio della sorella Giovanna Bruno Palermo, moglie di Domenico Abrignano, che deteneva i titoli sopra citati. Emanuele, successivamente sposò Annamaria Villarani conseguendo poi, il 19 giugno del 1735, il titolo di Marchese di Torretta; lo stesso, sei anni prima di morire (Mazzara 8 ottobre del 1762), vendette il titolo di Barone di S. Giuseppe ad Alessandro Mallia Bonifacio che ne ebbe riconoscimento e committa con il Predicato di Sabuci del 14 dicembre 1756 (Mercedes, val. 511, foglio 186).

    Ad Alessandro Mallia successe il figlio Francesco Andrea che ebbe assegnato dal re Ferdinando III il titolo di Maeggi, con la nuova denominazione di Torreforte; quindi, oltre a Barone di Sabuci, diventò anche Marchese di Torreforte a partire dal 12 maggio 1787. Francesco Andrea morì qui il 10 maggio 1810 come risulta dagli atti dell’archivio della Chiesa Madre. A Francesco Andrea Mallia successe il figlio primogenito Alessandro Emanuele che ereditò il titolo di Marchese di Torreforte, in quanto primogenito ma anche in forza testamentaria (testamento pubblicato il 14 maggio 1810, notaio Giacomo D’Agostini Cremona in Eraclea-Terranova).

    Alessandro Emanuele Mallia non ebbe figli maschi, pertanto titoli e proprietà passarono de iure a Rosalia Rosaria, che in seguito sposò Francesco Aldisio, Barone di Mautana; da questa unione nacquero Salvatore, Alessandro, Tommaso e Enrichetta. Il primogenito Salvatore Aldisio Mallia compare nell’elenco ufficiale definitivo del 1902 delle famiglie nobili e titolate di Sicilia con i titoli di Marchese di Torreforte e Barone di Sabuci con discendenza maschile di primogenitura, titoli successivamente ufficializzati in seguito a sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 7 settembre 1885 e confermati dalla Corte di Cassazione con sentenza del 24 luglio 1888.

    Il terzogenito Barone Tommaso sposò Sara Scepi, dalla quale ebbe otto figli, Concettina, Antonio, Francesco, Giuseppe, Alessandro, Rosalia, Giovanni Tommaso e Maria Antonietta. Il primogenito Salvatore Aldisio, Marchese di Torreforte e Barone di Sabuci (morto il 5 gennaio del 1925), essendo rimasto celibe, nominò il nipote Giuseppe (4° figlio del fratello Tommaso) erede universale di tutti i suoi beni, giusto testamento pubblicato il 9 gennaio 1925 a rogito del Notaio Enrico Navarra in Terranova di Sicilia.

    Il Cav. Giuseppe Aldisio, erede dei beni dello zio Marchese Salvatore in forza delle disposizioni testamentarie, si unì in matrimonio con Margherita Ciffo da cui nacque Marisella Aldisio, l’attuale proprietaria del palazzo Aldisio-Mallia. I titoli nobiliari di cui sopra passarono all’erede del fratello Tommaso.

  Il Palazzo Aldisio-Mallia

 

 

    Il palazzo Aldisio-Mallia è ubicato nel cuore del centro storico di Gela con ingresso sul Corso. In origine era costituito da un’unica proprietà di due piani, oltre il pianoterra, che è stata smembrata nel corso della seconda metà del Novecento; in particolare il secondo piano, oggi completamente rimodernato, è stato acquisito prima dalla famiglia del Barone Di Fede per passare poi a Cesarina Morso, moglie dell’Ing. Vincenzo Scaglione, e quindi al figlio Dott. Giovanni Scaglione. I locali del pianoterra ulteriormente frazionati sono di proprietà dei Sigg. Giurato, Scaglione, Insulla, Moscato, Bordonaro e Giordano. Le stanze a nord dello stabile si affacciano su una corte privata dove è ubicato un giardino.    L’edificio, restaurato alcuni lustri fa, ha un prospetto semplice con la superficie scandita regolarmente da pilastri in pietra arenaria; all’angolo tra il Corso e Via Mallia si osservano, in corrispondenza della parte alta del secondo piano, due finestre (tamponate) con modanature settecentesche.

    L’accesso alle stanze del primo piano avviene da un androne con due ingressi, uno che fa accedere all’appartamento adibito ad abitazione, l’altro che inoltra direttamente agli ambienti che caratterizzano il complesso artistico di questo antico palazzo, di cui si descrivono qui di seguito le caratteristiche più significative.

    Dal secondo ingresso (servito anche da un artistico cancello esterno in ferro battuto), dunque, si entra nello studio, qui procedendo verso sinistra si passa nel Salotto bianco e, in prosecuzione, nella stanza da pranzo che fa accedere alla parte abitata, mentre a destra si entra nel Salone delle Dame per poi arrivare finalmente al grande Salone delle Rose.

    In genere le stanze recano sul soffitto decorazioni a tempera mentre le pareti sono rivestite da pregiate carte da parati dipinte a mano spesso raffiguranti motivi floreali dai colori tenui che vanno dal grigio chiaro al rosa e dal bianco al castano. Lo zoccolo in finto marmo circonda i pavimenti di maiolica con effetto a rilievo, di produzione manifatturiera napoletana. Le diverse console in stile francese, alcune delle quali color oro e nero, sono abbinate sempre alle specchiere. Le porte del Salone delle Rose, intagliate e incorniciate con foglie di oro zecchino, sono divise in due riquadri con all’interno dipinti con tecnica a tempera raffiguranti scene campestri e motivi floreali. I tendaggi delle porte e dei balconi e le tappezzerie dei divani sono in broccato con colori che vanno dall’avorio al beige, mentre nel salone principale i divani sono di color bordeaux. Dei lampadari presenti il più importante è quello in vetro di Murano del Salone delle Rose.

 L’ingresso-studio

 

 

     L’ingresso-studio è caratterizzato dalla presenza di una serie di quadri su cui sono effigiati alcuni antenati della proprietaria Marisella Aldisio; due console, una scrivania e un divano con sedie di vimini costituiscono l’arredo di questo vano. La carta da parati che avvolge le pareti è di color rosso cremisi su cui in bianco spiccano un intreccio fitto di rami con frutti, foglie e fiori; il disegno è completato con uccelli che si cibano di piccoli frutti. Il pavimento è costituito da mattoni che disegnano delle stelle rosa e verde chiaro a otto punte, intervallate da quattro esagoni disposti a croce.

   Salotto bianco

 

 

     Il vano, arredato di suppellettili di fine Ottocento, è caratterizzato dalla presenza di un salottino con poltrone tappezzate in broccato bianco; nel vano, in comunicazione con la sala da pranzo e con lo studio, si osservano una console con specchiera, due cristalliere, i tendaggi delle due porte e del balcone, un lampadario, un tavolo rotondo e due angoliere pensili. La carta da parati, su uno sfondo color castagno, evidenzia file regolari di fiori in boccio con petali zebrati e foglie in chiaroscuro con effetto prospettico. Il pavimento è costituito da mattoni che riportano dei cerchi concentrici dove si inscrivono dodici disegni a spirale, intervallati da intrecci di linee che fanno risaltare delle croci a punta.

 

 Salone delle Dame

 

 

     La denominazione di questo ottocentesco ambiente deriva dalla presenza sul soffitto di quattro affreschi a medaglione a finti stucchi, raffiguranti delle nobili dame d’epoca. Il soffitto è interamente affrescato da una serie di forme geometriche e decorazioni, contenuti all’interno di comparti, che si snodano tutte da una serie di cerchi concentrici in posizione centrale; negli spazi di questa porzione sono ritratti, in posizione distanziata, quattro figure di bambini alternati da motivi floreali. Nella zona della volta reale, che si congiunge alle pareti, è presente una finta incorniciatura architettonica per ogni lato al cui centro è disposto il medaglione che ritrae una nobile dama d’epoca corredata da raffinate decorazioni floreali; le quattro cornici si interrompono ai vertici per dare spazio a quattro comparti angolari che raffigurano complessi decorativi floreali da cui emergono le figure di animali felini predatori. Al centro del soffitto pende un bel lampadario in vetro di Murano con nove punti luce.

 Le suppellettili del salone sono costituite essenzialmente da quattro console con specchiera e un salottino con tavolo, divano, poltrone e diverse sedie con al centro una grande specchiera; agli angoli si trovano delle angoliere pensili, mentre sulle pareti sono affisse delle stampe incorniciate. Anche qui le porte e i balconi sono provvisti di tendaggi.

    La carta da parati, su uno sfondo di color ardesia, riporta dei complessi floreali con chiaroscuro di bianco e grigio, misti ad intrecci a trama alternata di color oro. Il pavimento con mattoni a rilievo disegna per ognuno di essi un quadratino centrale con quattro cerchi bianchi rilevati con un incavo da cui spicca quella che sembra la figura di un uccello ad ali spiegate.

  Salone delle Rose o delle Feste

 

 

    La caratteristica presenza della rosa come motivo dominante del grande lampadario e come disegno sulla carta da parati originaria (recentemente sotituita), sulle porte e sulle ante a soffietto dei balconi, ha dato la denominazione di Salone delle Rose a questo ambiente di più di 120 metri quadri, definito anche come Salone delle Feste. Tutto o quasi di questo salone si è conservato perfettamente così come lo si poteva osservare a partire dai primi anni del Settecento. Le tre porte dorate, comprese le sovrapporte con complessi decorativi in rilievo che inscrivono dei dipinti su tavola, sono tutte con foglie di oro zecchino e nei due riquadri riportano, su ambedue lati della porta, decorazioni di elementi vegetali abbastanza articolate che nel riquadro superiore avvolgono figure umane in diversi pose. Le console e le specchiere con cornici dorate, qui sono di maggiori dimensioni. I complessi decorativi dei balconi con le quattro ante a soffietto, includono riquadri verticali di complessi floreali con al centro la figura di una santa. Divani e poltrone sono tappezzati in broccato color bordeaux.

 

 

       Il lampadario di 2,70 metri e di oltre 300 Kg., dal centro di un complesso decorativo con l’affresco di un angelo, si staglia verso il basso con le sue delicate rose in opaline e con i suoi 42 punti luce, il tutto un’opera originale del 1730 delle maestranze vetrarie di Murano. Agli angoli della volta reale si evidenziano quattro considerevoli affreschi, tutti uguali, di felice effetto decorativo con al centro la figura di un volatile ad ali spiegate. La carta da parati, recentemente sostituita, su uno sfondo di bande verticali color oro e argento alternati, riportava le figure delicate di rami, foglie e fiori di rose.

    Il pavimento con mattoni a rilievo disegna delle figure vegetali di color bianco, circoscritte da cornici quadrilobate di color marrone, il tutto su uno sfondo color verde giada.

    Le due porte del salone, quelle sul lato nord, tempo fa facevano accedere ad una stanza da letto degli ospiti e ad una cappella.

    Tra gli arredi del salone è presente un pianoforte a coda di notevole valore, fabbricato dalla ditta del famoso costruttore francese Ignace Pleyel nel 1849.

 

 

     Opuscolo stampato dalla EURECO Gruppo Cosentino, in occasione della presenza nel Palazzo Aldisio-Mallia dell’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America Davide Thorne e di altre autorità per ricordare il 70° anniversario dello Sbarco Alleato a Gela del 10 luglio 1943.

Debora Petitto e Danilo Cantaro – Istituto Formazione Professionale di Firenze (Docente L. Zaccagnini) 1992/93.

Fabio Murvana – Facoltà di Ingegneria di Palermo (Docente Angela Mazzè) 1996/97

All’interno della navata destra della Chiesa Madre esiste un monumento funereo in marmo dedicato al barone Alessandro Mallia, opera dello scultore palermitano Filippo Pennino nel 1779.

 

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