Beni culturali di Gela

 

Le notizie sul giornale La Sicilia

e le foto dell'edificio prima e dopo la demolizione

 

     

Crolla (si fa per dire) rudere di villa liberty

Mercoledì 02 Novembre 2011

La zona del crollo messa in sicurezza (m.c.g.)

Nella notte tra lunedì e martedì al Lungomare di fronte al Lido La Conchiglia è crollata una parte del rudere di una villa in stile Liberty risalente ai primi anni del Novecento nota per le sue finestre con cornici bugnate di pregevole fattura. Sul posto nella notte sono intervenuti i carabinieri ed i vigili urbani oltre che i proprietari del rudere che per metterlo in sicurezza, evitando rischi alla pubblica incolumità, hanno dato disposizione di buttare già il resto della struttura. Immediata la protesta di Archeoclub Legambiente ed altre associazioni.
L'edificio su una superficie di 1.050 mq fu usato prima come abitazione poi come scuola elementare. Infine passò alla proprietà dell'Ente nazionale fibre tessili ed ospitò uno degli sgranellatoi di cotone esistenti in città. In molti, tra i più anziani, ricordano che in quel luogo fu consumato nel 1956 l'omicidio della marchesa La Latta. Fallita l'attività legata al cotone l'edificio fu acquisito per mancato pagamento di tasse dall'Intendenza di Finanza che lo mise all'asta. Fu acquistato da una società immobiliare che lo ha poi venduto alla famiglia Luca. Nei decenni intercorsi l'edificio è rimasto nel più totale stato di abbandono divenendo ricettacolo di insetti e topi e, per questo, oggetto di proteste da parte di commercianti e residenti. I nuovi proprietari hanno ricevuto tempo fa un'ordinanza di messa in sicurezza del rudere ed hanno presentato anche all'Urbanistica un progetto per un nuovo edificio che è in attesa del parere della Soprintendenza.
Intanto ieri pomeriggio ignoti hanno posto sui resti della villa uno striscione con la scritta: "Di cultura si campa, d'ignoranza si muore" ed accanto lumini e dei fiori.

Giovedì 03 Novembre 2011

Un edificio antico può sfuggire alla Soprintendenza? Si direbbe di no! Però gli è sfuggito

l´intervento nel rudere della villa

Il settore Urbanistica de Comune attende di esaminare la relazione dei vigili del fuoco a seguito dell'intervento effettuato nella notte tra il 31 ottobre e l'1 novembre per il crollo di una parte del rudere della villa in stile liberty sita al Lungomare all'angolo con via Vasile. C'è da capire come mai a seguito del crollo sono state poi buttate giù anche le parti interne dell'edificio. Negli uffici comunali del settore Urbanistica risulta un ordine inviato ai proprietari il 6 aprile scorso a mettere in sicurezza l'edificio già interessato da altri cedimenti in passato, rimuovendo i pericoli per la pubblica incolumità.
Risulta anche un progetto presentato dai proprietari per realizzare un nuovo edificio che in attesa di essere corredato di tutti i pareri.  All'Urbanistica sanno già che la Soprintendenza ha spedito il parere e che è favorevole. Sull'edificio dei primi del Novecento, peraltro, non è stato apposto alcun vincolo. "Un edificio che ha più di 50 anni, che ha un suo stile ed una sua storia sfugge all'attenzione della Soprintendenza. E' assurdo - dice il prof. Mulè - così oggi assistiamo impotenti alla sua demolizione. In questa città non c'è mai fine al peggio". Il pittore Giovanni Iudice interviene sulla vicenda con una proposta. "Credo che questa città debba riflettere sulla sua memoria e sulla sua identità - dice l'artista gelese - che debba decidere una volta per tutte quali beni vuole tutelare e quali no. Sarebbe opportuno che il sindaco nominasse una commissione di architetti ed artisti per analizzare il patrimonio locale e indicare una proposta di ciò che va conservato e tutelato e ciò che invece non è importante. Non bisogna intervenire quando non c'è più nulla da fare".

M.C.G.

 

Una storia triste di persone e di cose

Male, proprio male per il nostro patrimonio storico; e non c’è verso che la situazione si arresti. Un altro bene culturale così va in malora. Oggi è toccato all’ex sgranellatoio di cotone prospiciente il lungomare, proprio di fronte alla Conchiglia, da tempo ridotta ad un rudere che quanto prima imploderà su se stesso. Lo sgranellatoio era catalogato come edificio di architettura povera, però, quelle grosse pietre di arenaria che componevano la struttura muraria, varie volte superfetata, facevano un bell’effetto a guardarsi anche perché si intuivano le vicissitudini dell’edificio nel tempo di sua vita trascorso. Senza dubbio di pregevole fattura erano le cornici delle finestre, un bugnato bianco di pietra del ragusano che dava lustro alla struttura, un tempo forse una villa liberty dei primi Novecento. Negli anni prima dell’ultima guerra l’edificio fu adibito a scuola elementare, poi nel dopoguerra passò ad un ente di fibre tessili che impiantò uno sgranellatoio di cotone, uno dei tanti che esistevano a Gela e di cui, nonostante il copioso numero presente fino agli anni Sessanta, oggi non rimane nemmeno uno. Nel 1956 all’interno di questa struttura si consumò una tragedia che ebbe come protagonisti il gestore e la moglie del suo socio, un ingegnere appartenente ad una famiglia di nobile estrazione (marchesi La Latta Costerbosa). Il gestore  dello sgranellatorio, esasperato dal comportamento del socio che non voleva onorare i debiti contratti, gli fissò un appuntamento a cui, però, si presentò la moglie, la marchesa La Latta, amante (si diceva) da tempo dello stesso  gestore. Evidentemente per quel che successe in quella giornata non bastò la disponibilità della marchesa ad evitare una discussione che andò a degenerare al punto tale che il gestore, fuori dalla grazia di Dio, estrasse una pistola freddandola con un colpo al cuore. La vista del corpo esanime della donna fece ritornare in senso il gestore, ormai assassino, che preso dallo sconforto rivolse verso di sé la canna della pistola facendo partire un colpo alla tempia, un colpo che però non gli fu fatale se non a fargli perdere il bene della vista. Rinchiuso  nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto il gestore omicida, dopo diversi anni, portò a termine la sua esistenza terrena suicidandosi.

Abissus abissum invocat, che storia triste di persone e di cose.

E che fine ingloriosa ha fatto l’edificio, quasi azzerato da una ruspa alle ore 3 nella festa di Ognissanti.                                                                                                                                                                                           Nuccio Mulè

 

Riportiamo il testo di un articolo

apparso sulla Domenica del Corriere del 1956

 

 

UNA MARCHESA UCCISA DA UN DIPENDENTE A GELA

“Aiuto, aiuto, Falconieri mi ha sparato mandate subito l’autoambulanza alla Generale elettrica. Vi raccomando le mie bambine”. Queste parole, gridate da voce femminile, giungevano al centralinista dell’ospedale di Gela (Caltanissetta) il quale avverte subito la direzione. Viene informata subito la polizia e mandata una macchina. Il commissari e alcuni agenti raggiungono lo stabilimento. Bussano alla porta del reparto da cui era partita l’invocazione. Nessuno risponde. Aprono. Nell’ufficio, a terra, in una pozza di sangue, una giovane donna, la marchesa Gabriella Lalatta; in un angolo, tra la vita e la morte, un uomo di 37 anni, Gaetano Falconieri, l’omicida. Il marchese ingegnere Marco La Latta Costerbosa di Roma da alcuni anni si era trasferito a Gela con la moglie Gabriella e due bambine e laggiù aveva creato un grande stabilimento per la sgranatura de cotone. L’amministrazione era tenuta dalla signora. Da un anno circa i Lalatta avevano assunto come mediatore il Falconieri, il quale, però, pare avesse compiuto tali mancanze da dover essere mandato via. Proprio quel giorno la signora avrebbe detto al Falconieri che era licenziato.

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